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 2021  novembre 21 Domenica calendario

Ritratto dello scrittore Wole Soyinka

Tra i numerosi talenti, Wole Soyinka ha quello di essere spiritoso e autoironico, e quando venne a Capri per “Le Conversazioni” rispondeva sempre con un sorriso ogni volta che veniva scambiato per Morgan Freeman. Conosco molti personaggi famosi che si sarebbero offesi, anche per il connotato razzista dello scambio di persona, che sottintende che tutti gli uomini di colore non hanno un’autentica personalità e finiscono per somigliarsi. All’epoca lo scrittore aveva già raggiunto gli 80 anni, e rimanemmo tutti molto colpiti dal fisico robusto, il portamento solenne, la camminata regale. Per non parlare della voce bassa, profonda, che arricchisce ulteriormente il suo carisma e le doti innate di grande affabulatore: è un uomo che incute rispetto anche, anzi soprattutto, quando sorride.
È nato 87 anni fa a Abeokuta, una città di mezzo milione di abitanti sul fiume Ogun, in Nigeria. La famiglia è di discendenza Yoruba, e i genitori hanno scelto per lui il nome di Akinwande Oluwole Babatunde. La madre proveniva da una delle famiglie dell’aristocrazia intellettuale nigeriana, la Ramsone-Kuti, della quale faceva parte il nonno Josiah, celebre reverendo e musicista, e il cugino Fela Kuti. Ha studiato a Ibadan dove ha fondato la “Confraternita dei Pirati”, che aveva come obiettivo denunciare ogni forma di corruzione, poi si è trasferito a Leeds, in Inghilterra, dove è rimasto a lavorare per il Royal Court Theatre: ha iniziato a scrivere drammi per il teatro e per la radio, mettendo in scena i primi testi, tra i quali Il leone e il gioiello, incentrati sul conflitto tra tradizione e progresso. Poi, tornato nel suo Paese, ha cominciato a occuparsi attivamente di politica: nel 1967, durante la guerra civile nigeriana, è stato arrestato ripetutamente dai soldati del generale Gowon e quindi incarcerato in isolamento per due anni. Con ironia amara commenta che «vengo attratto come un magnete da situazioni di violenza». Sin da giovane, la lotta contro il colonialismo e la tirannia ha rappresentato un elemento portante della sua esperienza esistenziale e artistica: «Un uomo muore – mi ha detto – solo quando rimane in silenzio di fronte alla tirannide». I suoi interventi pubblici divennero sempre più un punto di riferimento per le opposizioni, e per la sorpresa di molti prese una posizione molto dura anche contro il movimento “Negritude” di Leopold Senghor, accusandolo di una glorificazione indiscriminata e nostalgica del passato. È apocrifa la battuta «una tigre non esprime la sua tigritudine, assalta», ma il senso ne interpreta il pensiero, ed è limitativo considerarlo solo un autore interessato ai drammi del suo Paese: il suo sguardo è sempre aperto all’esterno, ed è mirabile il suo adattamento teatrale dell’Opera da Tre Soldi di Bertold Brecht, intitolata «Opera W?ny?si».Si è cimentato anche come regista, con Blues for a Prodigal, e persino come attore, impersonando una volta Patrice Lumumba, il primo ministro congolese trucidato in un colpo di stato. Il tutto mentre continuava il suo attivismo politico: riuscì a sfuggire per miracolo, in motocicletta, ai soldati del generale Abacha, il quale lo condannò a morte in contumacia. Ritornò nel suo Paese solo dopo la morte del dittatore, e spiegò che «i libri e ogni forma di scrittura rappresentano il terrore per coloro che vogliono sopprimere la verità». Insieme all’impegno civile e alla scrittura, Soyinka ha coltivato una prestigiosa carriera accademica, insegnando nelle più importanti università americane, tra le quali Oxford, Yale e Harvard. Le sue lezioni hanno un’aura leggendaria, ma gli insegnamenti a cui tiene maggiormente sono quelli morali: «La vita umana ha un significato solo nella misura in cui hai vissuto al servizio dell’umanità». La grande popolarità internazionale arrivò tuttavia con il Nobel per la letteratura, che gli viene assegnato nel 1986: il discorso di accettazione, intitolato «Questo passato deve dare una risposta al suo presente» lo dedicò a Nelson Mandela.
Da allora l’impegno politico e civile è diventato ancora più esplicito, e in anni più recenti ha preso posizione contro le derive fondamentaliste delle religioni, che ritiene responsabili di una «violenza apocalittica». Sostiene che «molti ciarlatani a capo di sette, o anche di vere e proprie religioni, sono persone carismatiche, a volte anche amabili, più spesso sinistre. Il fondamentalismo appartiene a tutte le religioni, anche all’induismo: hanno in comune che non hanno alcun senso dell’umorismo e non vedono il lato patetico della vita: è per questo che uccidono chiunque non aspiri al loro livello di malevolenza».
Lo scorso anno, dopo mezzo secolo ha pubblicato un romanzo intitolato Cronaca dal luogo con la gente più felice della terra. Il libro è stato accolto da recensioni osannanti, e Soyinka ha stupito ancora una volta per l’inaspettata utilizzazione del genere noir. «So che è difficile da credere, ma il libro venne ispirato da un rapporto internazionale che giudicava la Nigeria il luogo più felice della terra: all’inizio ho pensato a uno scherzo crudele, ma poi mi sono reso conto che il rapporto era stato fatto con i crismi della serietà e persino della scientificità». Nel momento più acuto della crisi pandemica ha lanciato un nuovo appello per il suo Paese, devastato da problemi sociali e sanitari, spiegando poi: «Sono convinto che la Nigeria sarebbe stato un Paese molto più sviluppato senza il petrolio: vorrei che non ne sentissimo l’odore». Molto riservato sulla sua vita privata, è stato sposato tre volte, e da ognuno dei matrimoni ha avuto dei figli: una di loro, Iyetade, è morta, generando un dolore che non si è mai sopito. La sera prima di partire da Capri mi disse, inaspettatamente. «Non esiste essere umano che non provi cos’è la paura». Gli chiesi a quel punto se avesse dei rimpianti. Lui mi guardò e rispose senza esitare: «Non conosco altro modo di vivere se non di svegliarmi armato delle mie convinzioni, che non si piegheranno alle minacce o ai rischi generati dalla forza o il potere di chi mi disprezza».