Specchio, 21 novembre 2021
Chiara Francini si racconta
Chiara Francini vive in una casa che le somiglia. È molto colorata, piena di cose diverse, tutte sparse e tutte al posto giusto, contemporaneamente. È una casa piena di sole, proprio in mezzo a Roma e sembra uscita dalla sua fantasia.
Attrice di teatro, cinema e televisione, scrittrice di romanzi, presentatrice in tv e nei festival: quante moltitudini contiene?
«Io mi sento sempre totalmente inadeguata. La mia carriera è sempre stata strettamente legata al percorso della mia vita, che è un percorso di straordinaria inadeguatezza. Scrivo romanzi ed è una delle più belle modalità con le quali ho potuto continuare a esprimermi, a parlare con gli altri, a raccontare. Ma poi conduco o partecipo a programmi in tv, recito in commedie popolari ma anche in film di nicchia come Un altro pianeta di Stefano Tummolini che era stato al Sundance o come Altri padri di Mario Sesti che la settimana prossima sarà al Torino Film Festival. Insomma, faccio il mio lavoro in maniera molto diversa. Ma non potrei fare altrimenti».
Perché ha detto di sentirsi inadeguata?
«Perché sono densa, il che mi induce il bisogno di essere sempre diversa, mutevole, cangiante. Così, in maniera naturale, arrivo a sfiorare tutte le idee che voglio realizzare. Ciò che è denso è più difficile da scomporre nelle sue parti, da afferrare in tutte le componenti che ne formano il colore. La mia è una disarmonia prestabilita. Agli occhi del senso comune appaio bizzarra, peculiare».
Cosa la guida in questa ricerca di idee da realizzare in modo diverso?
«Mi spingono sia la passione che il desiderio. Il desiderio è sempre in fieri, quando acchiappi l’oggetto del desiderio, il desiderio è finito. Invece il desiderio è sempre tensione. La vita è profondamente legata a questa tensione, un viaggio che è sempre una meta».
In "Altri padri", il suo ultimo film, è una donna che esce da un matrimonio e da una situazione familiare difficile scegliendo un percorso duro, conflittuale. È un personaggio complesso e spigoloso, a tratti respingente. Come lo ha studiato?
«Io cerco sempre di trovare la verità. E la vado a trovare in un pozzo di ricordi, in quella sensazione di inadeguatezza, del non riuscire a tirar fuori la voce. Bisogna ascoltarsi profondamente, avere contezza di quelli che sono i propri talenti e i propri limiti. Lì nel mezzo c’è la tua possibilità di successo e felicità. Questo personaggio invece è afono. Non ha fatto i conti con i propri talenti e nemmeno con i propri limiti. Peggio di non avere la possibilità di sbagliare c’è il procedere per inerzia. Il mio personaggio in Altri padri mi ha coinvolta così tanto perché è quello di una donna che è sempre stata falsamente pulita, quando avrebbe voluto battersi nel fango. Il suo non era un candore di neve, ma da disinfettante».
Quanto si perde nella vita per la paura di guardarsi allo specchio?
«Io penso che la verità sia l’unico punto di partenza, l’unico veicolo. Per essere credibili bisogna essere veri. Questo personaggio è disarmonico, inadeguato, fa quello che le è sempre toccato. Prima con il padre e poi con il marito non ha avuto modo di esprimersi».
A lei è mai capitato di trovarsi in una situazione simile?
«Sono stata con un ragazzo molto attratto da me, ma molto geloso e possessivo. Ogni cosa che facevo senza di lui era una cosa sbagliata. Amici, amiche, incontri, lavori. Ogni volta per evitare discussioni dovevo scegliere un silenzio che mi rimbombava dentro per cercare di sedare questo amore che era più vicino al possesso. A un certo punto era talmente lontano il frastuono che la vita deve avere, che mi sono dovuta salvare nell’unico modo possibile: lasciandolo. Quando si sta troppo in silenzio ci si dimentica del bello del rumore, della musica, dei toni, dei suoni. L’esatta antitesi della vita è il silenzio imposto».
Invece da sedici anni è fidanzata con una persona che evidentemente la fa stare bene, Frederick Lundqvist. È bello e svedese. Su cosa si regge un rapporto così lungo?
«Il rapporto sta in piedi sulla pazienza, sull’ironia e sulla bellezza intesa anche come pacificazione, serenità, accoglienza, nido. Dopo sedici anni c’è un senso di casa, di domenica pomeriggio insieme. L’amore è come un essere umano, nasce, impara a camminare, cresce, si trasforma, muta, ma esiste sempre. Le coppie sono grandi misteri e incantesimi. C’è una magia di proporzioni che è difficilmente spiegabile: così è l’amore, il rapporto che tiene legata una coppia. La stima è una cosa molto forte, una corrispondenza di amorosi sensi, una corrispondenza d’intenti che fa sentire esattamente quello che fa una casa, un bel recinto, il caldo. Ognuno di noi ha un percorso diverso nell’amore. Io ogni sera penso che Frederick sia la persona migliore, la più adatta, il pezzo di puzzle che più collima con il mio insieme. È la persona che mi placa, che mi sa mettere una mano sulla spalla ed è come se fossi pacificata. E questo dipende dal fatto che in lui vedo una persona di profondo acume e intelligenza. Frederick ha quell’onestà che è la cosa più sexy che può avere un uomo».
È appena partita su Discovery+ "Drag Race Italia", l’edizione italiana del talent show americano, e lei è una dei giudici. È stata anche madrina del Lovers Film Festival e conduttrice del programma "Love me gender". Ha molto a cuore i diritti della comunità Lgbtqi?
«Sicuramente, perché in maniera forse non chiassosa sono nata con questa sintonia con la comunità Lgbtqi. Quando sono arrivata a Roma da ragazza ho frequentato per due anni il circolo Mario Mieli, lì ho conosciuto la maggior parte dei miei amici e quella comunità mi ha fatto sempre sentire bella e giusta. Mi hanno trasmesso il senso della bellezza, della cura per il lavoro, per la normalità che ti è stata negata. Esser stata scelta come giudice mi ha fatto molto piacere. Mi sono sentita benedetta perché mi sono sentita nel posto giusto, come se fosse un coming out per dire questa sono e siete voi che mi avete fatto diventare così, con questa capacità quasi monicelliana di ridere sopra la realtà anche piena di buchi. Ecco, per questa capacità di accogliere la vita, per le buche e le cadute».
Quali sono le sue cadute?
«Io cado tutti i giorni. Ho fallito tante volte nel lavoro, ma soprattutto soffro molto nelle cose della vita privata. I più grandi dolori me li hanno dati le amicizie, persone che magari si sono allontanate o hanno tradito le aspettative che io avevo nei loro confronti. Sì, i miei fallimenti più grandi riguardano la sfera emotiva, non lavorativa. Sono cresciuta in una famiglia matriarcale, fin da piccola salute e famiglia erano valori che dovevano essere pregati e benedetti. Tutto doveva sempre essere messo sotto la giusta luce. Ma mia mamma mi ha sempre detto: "Non ti preoccupare se non è un male che il prete ne goda", intendendo dire che tutto può essere gestito e contestualizzato se proprio non è definitivo come la morte. La vita viene sempre prima di tutto. Le gioie vere sono legate ai bisogni primari. Le delusioni vengono dalla vita, dall’amore, dall’amicizia».
A proposito di delusioni, si sarebbe aspettata che il ddl Zan venisse affossato in quella maniera, fra strepiti, tradimenti e applausi?
«No, non mi aspettavo che finisse così. Ma questa gente non rispecchia la verità non solo dei giovani ma della comunità in cui viviamo. Ora bisogna togliersi la polvere dalla giacca e andare avanti. Magari tenendo presente che i senatori sia per questioni anagrafiche che di formazione non sono campione rappresentativo di quello che c’è fuori dal loro palazzo».
Se avesse avuto un figlio omosessuale, come si sarebbe sentita di fronte a quelle urla, quegli applausi dei senatori di fronte a dei diritti che venivano negati?
«Mi sarei sentita felice».
Perché felice?
«Perché avrei un figlio».
Vorrebbe essere madre?
«Io non sarei preparata alla maternità, anche se tutti mi dicono che nessuno è preparato a diventare genitore. Ma l’affronterei con spontaneità, con curiosità e stupore. Credo che sia il più grande innamoramento, un amore straordinariamente ingombrante, pregno, che ti fa ricalcolare quelle che sono le priorità. Si vive una sola volta: ma se lo fai bene, una sola volta è abbastanza».
Lei che ragazza è stata?
«Io mi sono tanto divertita. A sedici anni ho vissuto, ho scoppiettato. I sedici anni sono la cartina di tornasole della vividezza della vita: niente è doloroso e travolgente come a sedici anni. I sedici anni sono una fetta di pan con l’olio: assaggerai altre cose buonissime nella vita, ma nulla sarà buono come quella fetta di pane».
Cos’è ora la sua fetta di pan con l’olio?
«Io non sono molto interessata dalla popolarità, ma amo molto le presentazioni dei miei libri e il teatro. Sono i momenti in cui ricevo questo grandissimo affetto. Li vivo con grande felicità, come carezze, come pacche sulle spalle di felicità. In quei momenti c’è il vero dialogo, lo scambio, la comunicazione. La più grande paura dell’uomo è quella della morte e non c’è nulla che riempie la vita come il dialogo. È un perpetuo e vivace dialogo, la cosa più vicina alla verità della vita».
Sul lavoro ha incontrato delle persone speciali?
«Pippo Baudo è stato in tv l’amore mio grande, un gigante. Mi ha insegnato l’ascolto, sempre un passo indietro: ho seguito i suoi consigli nella vita e nei programmi, ho cercato di ascoltare in maniera appassionata tutte le risposte. Poi è stato molto divertente lavorare con Pieraccioni: giravamo Una moglie bellissima ad Anghiari e la sera stavamo a tavola con lui, Massimo Ceccherini, Rocco Papaleo e c’era pure Francesco Guccini che qualche volta suonava: sul tavolo non c’era mai l’acqua, insomma, ci si divertiva».
E poi ha fatto coppia con Abatantuono.
«Diego è straordinario, un gigante di ironia. Io potevo essere suo alter ego. Ironico, sagace, velocissimo, una volpe. Lavorare con uno così è facilissimo».
Cosa la mette in difficoltà, invece?
«Mi mettono in difficoltà l’arroganza e la stupidità».
Ha incontrato molti stupidi?
«Tanti. Ma non tutti al cinema».