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 2021  novembre 21 Domenica calendario

Il francese si fa sempre più arabo

Eric Zemmour, giornalista e polemista dalle idee ispirate al sovranismo, con una grande voglia di diventare presidente, vorrebbe proibire in Francia i nomi stranieri (e in testa ha soprattutto quelli arabi). È il colmo, perché nel gergo dei giovani del suo Paese è tutto un dilagare di parole proprio d’origine araba. Non sono solo i ragazzi delle banlieues a utilizzarle, ma tutti, proprio tutti, anche chi viene dai quartieri più borghesi e che con il Maghreb non ha niente a che fare. Ricorrere a quella terminologia è diventato alla moda, a tratti la prova che sei un tipo “cool”, sebbene tu venga da una famiglia abbiente. Un approccio simpatico.
Ecco una frase tipo: «Grosse khapta ce soir, c’est moi qui khallasse». E qualche precisazione: in questa nuova lingua, “khapta” significa festa e il verbo “khallasser”, pagare. Insomma, «stasera facciamo una grossa festa e sono io a pagare». Altra frase ricorrente: «Wallah, c’est la hess»: “Wallah” è l’interiezione “per Allah”, mentre “hess” deriva dall’algerino “lhas”, che letteralmente vuol dire «leccare un piatto». «C’est la hess» corrisponde a: «Sono in difficoltà». Anzi, è ancora più forte: «Sono nella m…».
Da secoli l’arabo influenza il francese, fin dai tempi delle crociate, come per gli altri idiomi europei. Ma, al momento della guerra d’Algeria e l’arrivo di un’immigrazione da lì in Francia, gli apporti si intensificarono (come “bled” per il villaggio o la città di provenienza o “niquer”, che vuol dire “scopare”, nel suo significato sessuale, o in senso lato “fregare"). Negli ultimi anni, però, il processo si è rafforzato.
Una delle ragioni è il successo del rap, che ha un ascolto trasversale ma viene interpretato da tanti giovani di origini arabe delle periferie. Nel 2019 Chilla cantava in un brano a più riprese «fais belek», passato dritto oggi nel linguaggio giovanile (significa «fai attenzione»). «Sono parole di giovani, trasmesse dai giovani a destinazione dei giovani», ha sottolineato al Figaro Luc Biichlé, sociolinguista e docente all’università di Avignone. La loro diffusione, oltre che grazie al rap, avviene sui social, nei reality alla tv (i partecipanti li utilizzano senza remore), nell’ambiente del calcio e in quello dei giochi online. Sono più di 500 ormai le parole del dizionario francese di derivazione araba «e sono termini della vita quotidiana – conclude Biichlé – altri di tipo religioso e poi insulti o parolacce». Tutte parole che provengono dall’arabo dialettale parlato nei Paesi maghrebini, e non da quello classico.