La Stampa, 21 novembre 2021
2021, l’anno d’oro del tennis italiano
È stato un sogno lungo undici mesi, infilato dentro l’incredibile film dello sport italiano nel 2021 e fatto di record, di vittorie, di prime volte. La stagione che ha definitivamente promosso l’Italia al ruolo di superpotenza dei gesti bianchi. Grazie alle imprese di Matteo Berrettini e Jannik Sinner, ma anche ad una prestazione corale che ha riportato l’interesse dei media - mamma Rai compresa - ai tempi di Panatta & Co.
Il tennis da sempre segue il sole, la prima tappa è inevitabilmente l’Australia. Febbraio riassume nello spazio di meno di 30 giorni tutti i temi, tutte le storie dei mesi che sono seguiti. Il piacere di sentirsi fra i più grandi e il timore di poter perdere tutto in un attimo. La gioia del successo di Jannik Sinner nel «250» di Melbourne, che gli regala il secondo trionfo Atp in carriera. E la delusione di Jan il rosso dopo la sconfitta al primo turno degli Australian Open, con Shapovalov, ricalcata dal primo rendez vous di Matteo Berrettini con la jella: un infortunio agli addominali lo costringe a rinunciare all’ottavocon Stefanos Tsitsipas.
Febbraio è anche il mese della finale in Atp Cup: Fognini e Berrettini, con l’aiuto di Sonego e Vavassori, ci trascinano fino al big match con la Russia. Un’altra costante del 2021, quella degli incroci con i cosacchi del tennis, l’altro polo del dominio europeo.
Marzo vuol dire America, Indian Wells e Miami, il cemento, i primi Masters 1000 della stagione, sul ‘duro’ torna a ruggire Sinner. La finale che raggiunge e perde con l’amico Hurkacz in Florida è agrodolce, un assaggio di Paradiso.
Il 5 aprile arriva la conferma statistica di un momento magico: sono 10 gli azzurri nei primi 100 del ranking mondiale. La Banda Italia è il 10 per cento del tennis che conta. Più che un boom un’alluvione, una rivoluzione soft. E l’inizio di una incredibile primavera. Lorenzo Sonego battezza il neonato torneo di Cagliari poi arrivano i quarti di Fognini a Montecarlo e la corsa parallela delle nostre due «punte»: nella stessa settimana Berrettini vince a casa di Djokovic il ‘250’ di Belgrado, Sinner morde le semifinali a Barcellona.
A maggio, il mese del tennis, gli Internazionali ritrovano il pubblico e un paio di notti magiche grazie ad un grande Sonego, che in notturno inchioda uno dopo l’altro due top ten, Thiem e Rublev, e si ferma in semifinale solo contro il padrone del mondo Novak Djokovic.
La terra, si sa, è da sempre l’habitat naturale del nostro tennis, con il pregresso di un primo quadrimestre da primi della classe sono quindi una sorpresa relativa gli 8 in pagella di Berrettini e di uno straordinario Lorenzo Musetti alla Sorbona del tennis, il Roland Garros. Lorenzo il maturando per due set a Parigi strega il Numero Uno del mondo, mostrando tutte le magie di cui è capace il suo tennis. Nei quarti è di nuovo il turno di Berrettini: mette anche lui paura a Djokovic, in una soirée spezzata in due dall’ordine di sgomberare - causa Covid - il ‘Philippe Chatrier’ prima che scocchino le undici. La rabbia da guerriero che Nole scarica alla fine sugli spalti ormai vuoti è la conferma che sì, ormai anche Berrettini è un avversario da urlo.
Ma è l’erba, è il mese di luglio, tradizionalmente sacro al Verde, il cuore pulsante dell’annus mirabilis azzurro, e in particolare di Berrettini.
The Hammer, il Martello Matteo piazza due acuti inediti, scolpendo e migliorando record. Due prime volte: il successo al Queen’s, anticamera nobilissima di Wimbledon, dove nessun italiano aveva mai recitato da protagonista. E la splendida epopea dei Championships, la finale raggiunta a correndo a fianco dei successi della nazionale di Mancini, e giocata nello stesso giorno del trionfo di Wembley.
L’immagine di Matteo che alza il piatto accanto a Djokovic - sempre lui… - e poi sale sul bus azzurro godendosi l’abbraccio di Roma e la stretta di mano con Mattarella al Quirinale è la fotografia più bella dell’anno. La prova che il tennis ormai siede nello stesso scompartimento del calcio, in prima classe, nel cuore degli italiani.
Ad agosto, la doccia fredda. Berrettini deve rinunciare alle Olimpiadi per colpa di un nuovo infortunio, stavolta alla gamba. Jannik, che a Londra è inciampato in fretta invece a Tokyo non ci va per scelta, attirandosi mille critiche. Sembra una decisione sbagliata, invece è un trampolino. Jannick dopo i Giochi mancati va a segno a Washington, poi in autunno fa il bis a Sofia, si annette Anversa, a novembre raggiunge Berrettini - che a settembre è arrivato ancora una volta nei quarti, agli Us Open, stoppato dall’inevitabile Djokovic - fra i primi dieci del mondo. Jan plana al numero 9, prepara uno sprint perfetto per le Finals, inciampa sul più bello ma a Torino gioca comunque, per un crudele intreccio del destino proprio nel momento in cui è Berrettini a fermarsi di nuovo, appiedato da un riacutizzarsi dell’infortunio «australiano». Jannik non riesce a qualificarsi, da riserva di lusso, ma incendia il Pala AlpiTour arrivando ad un punto dall’abbattere Daniil Medvedev.
Il 2021 non è ancora finito: manca ancora la Coppa Davis. Ma sappiamo già che rimarrà uno degli anni più belli del nostro tennis.