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 2021  novembre 21 Domenica calendario

Nei vecchi fogli di Bertolucci una fondazione

Due lettere senza data, firmate una “B.” e l’altra “Bernardo”. Giacevano in un cassetto nello studio di via della Lungara, sotto fasci di bollette e di scontrini, ripiegate dentro una busta indirizzata ad Attilio e Ninetta Bertolucci, con 200 lire di affrancatura. Dentro ci sono le affettuose parole di un trentunenne che filava dritto verso la notorietà internazionale e l’empireo dell’arte, passando da Ultimo tango a Parigi a Novecento, il grande regista che ci ha lasciato il 26 novembre di tre anni fa.
A ritrovare le due lettere è stata Valentina Ricciardelli, cugina dal lato materno, mentre riordinava le carte in previsione di un centro studi, ramo archivistico della Fondazione Bertolucci nata per volere testamentario della vedova Clare Peploe, che ha nel comitato scientifico Jeremy Thomas, la Cineteca di Bologna e la fondazione Solares.
L’unica data presente, sul retro della busta, si legge a fatica ma si decifra: 21 luglio 1972. Le tessere s’incastrano: Ultimo tango sarà pronto qualche mese dopo, in autunno, e innescherà polemiche e dibattiti infiniti. Quelli che sorprendono sono gli accenni a Novecento, annotati diversi anni prima che il film venga girato e distribuito. «La voglia di fare Novecento cresce, piano piano» scrive Bertolucci nella prima lettera, «e sto forse per scoprire che sotto all’interesse per quella storia, quei personaggi, quella tessitura narrativa, gatta ci cova. (…) È come andare alla scoperta di un mondo di valori perduti negli ultimi dieci anni». «Non inorridite alla parola “valori” che suona tanto da preside di liceo classico», precisa nella seconda lettera (probabilmente vergata a ruota e spedita insieme alla prima), e nella chiusa butta lì due righe che oggi sono di un’attualità prepotente, anche ecologica: la sua intenzione di «far sentire a una o due generazioni interamente nate, cresciute e educate nel nulla tecnologico, il brivido della cultura agraria».
Bertolucci scrive da Roma all’indirizzo di Casarola, nel parmense, luogo d’origine della famiglia e sede della casa di montagna. Si rivolge al padre, il poeta Attilio, e alla madre, l’insegnante Evelina detta Ninetta, che possono ben comprendere le radici del nuovo film e forse anche gli sbocchi creativi verso cui si protendono; mescola qualche parola inglese e francese, cita scherzando Le nozze di Figaro, e accenna alla fidanzata Mapi, che sarebbe Maria Paola Maino, scenografa sia per Tango sia per Novecento. «È la prima volta che mi chiedo perché ho voglia di fare Novecento: confusamente comincio a capirlo». È la testimonianza palpitante di una creatività scatenata.
Ultimo tango a Parigi è ancora in sala di montaggio, il produttore Alberto Grimaldi ha appena visto una versione probabilmente non definitiva e Bernardo già scalpita per il nuovo progetto, fino a lanciarsi nella profezia: «Novecento dovrà spingere le masse urbane verso le collinette sbruciacchiate che circondano Roma: in dieci anni tutto sarà verde e coltivato a misura dell’uomo, come in Emilia». E pure, addirittura: «Il mondo tornerà alla terra, bisogna accelerare i tempi».
È l’entusiasmo palingenetico di un giovane artista che vuole celebrare i contadini conosciuti durante l’infanzia, di un intellettuale che al di là di quei «valori» non vede salvezza. «Il più importante di questi valori», scrive Bertolucci ai genitori, «sarebbe il credere che esistono questi valori». Le riprese di Novecento inizieranno due anni e mezzo dopo queste due lettere, e andranno avanti per 42 settimane, una durata oggi impensabile. Nelle cinque ore dell’edizione finale troveranno posto elegia bucolica, melodramma, citazioni cinematografiche e pittoriche, e una sfrontata fede nel sole dell’avvenire. Il Bertolucci del ’72, come quello del ’ 75, aveva la convinzione che l’innocenza contadina non fosse perduta. Il contrario di quel che sosteneva l’amico Pasolini, che durante le riprese del suo cupo testamento intellettuale, il disperato Salò, vergò la famosa abiura alla Trilogia della Vita (…«È un pezzo che il popolo antropologicamente non esiste più»...). Bertolucci cercava di portare la lotta di classe a Hollywood mentre Pasolini teorizzava lo schiacciamento del “corpo popolare” da parte di un neocapitalismo invincibile. Così vicini e così lontani, Bernardo e Pierpaolo s’incrociarono nel mantovano proprio durante le riprese di
Novecento e di Salò, e le due troupe si sfidarono a una lunga partita di pallone; per la cronaca, vinse la prima. La storia del cinema è fatta anche di questo: vecchi fogli ritrovati e opposte filosofie che si affrontano a centrocampo.