Robinson, 21 novembre 2021
La rivincita dell’acquerello
«Raffaello e Michelangelo dipingevano forse acquerelli?» domandava con un certo sarcasmo un articolo apparso su una rivista francese di metà ‘800. Come a dire: vi pare che sia una tecnica da prendere sul serio se i geni del Rinascimento non la tenevano in alcun conto? Eppure, avrebbero potuto. In fondo si tratta forse della più antica forma d’arte, come afferma Plinio il Vecchio. E della più semplice: qualche pigmento tratto da radici, o foglie o minerali mescolato ad acqua e magari un po’ di resina raccolta dagli alberi per fissare il tutto. Ma la prima pittura per molti secoli è stata considerata figlia di un’arte minore.
Figlia in realtà dei miniaturisti, che usavano colori ad acqua su pergamena per illustrare manoscritti sacri o erbari, storie di re o vite di santi. Probabilmente il foglio tratto dalla pelle di pecora offriva però una superficie troppo irregolare e impermeabile per attirare gli altri artisti. Ci volle la diffusione della carta, dal XIII secolo in poi prodotta direttamente in Europa, per dare un primo impulso all’acquerello. Cennino Cennini infatti gli dedica ben tre capitoli nel suo Libro dell’arte, il più completo tutorial del 1400 destinato alle botteghe rinascimentali. Dove però si usano i colori ad acqua soprattutto con uno scopo: quello di creare bozzetti preparatori per grandi tavole e affreschi. Niente di più. Dovrà passare molto tempo prima che l’acquerello assuma piena dignità: la storia di questa tecnica è in fondo una lunga battaglia per la parità, per un posto in prima fila sulla scena dell’arte. Così la racconta Marie- Pierre Salé, curatrice del Dipartimento di Arti Grafiche del Louvre, ne L’acquerello, (Einaudi, pp 416, euro 150).
In questo grande volume, sontuosamente corredato da oltre 300 illustrazioni riprodotte alla perfezione, l’autrice ci racconta tutto, ma proprio tutto, quello che c’è da sapere sui colori ad acqua: storia, protagonisti, strumenti, tecniche.
Luminosità, immaterialità, trasparenza, fluidità, leggerezza: il primo artista a riconoscere le meravigliose caratteristiche di questa pittura senza corpo, così calviniana, è Albrecht Dürer che crea grandi capolavori sia su carta che su pergamena. Ma è un’eccezione, un anticipatore isolato, senza troppi seguaci. Solo tra fine ‘700 e ’800 l’acquerello inizia a vivere i suoi anni d’oro. Nel 1791 il termine acquarelle entra per la prima volta nel dizionario francese (anche se in Italia si usava già), pochi anni dopo nascono in Inghilterra le prime società di water colourists che si battono perché le loro carte vengano esposte accanto alle tele nelle mostre ufficiali, nascono cartiere specializzate, si vendono i colori già pronti all’uso in panetti e poi in tubetti, paesaggi e fiori dipinti ad acqua diventano un nobile passatempo per l’alta società. Persino la regina Vittoria se ne diletta. La moda si diffonde, ma è sempre afflitta dal complesso d’inferiorità originario: la stragrande maggioranza degli autori vuole imitare la pittura ad olio, vuole dimostrare – a volte con un’impressionante perizia – di poter raggiungere gli stessi effetti. Nascono quadri con scene storiche o campestri descritte minuziosamente, con dettagli perfetti, dai colori saturi. Che spreco. Solo pochi grandi maestri intuiscono le potenzialità del medium: da Fragonard a Delacroix, da Constable a Cox. Le loro carte accolgono la pennellata veloce, la levità del colore che questa tecnica evoca.
Ma è il genio di Turner a dare la grande spallata, a prendersi tutto ciò che l’acquerello può dare, e anche di più. Dilava il pigmento fino ad estenuarlo, scioglie il paesaggio in una velatura così diluita da farlo scomparire, maltratta la carta per ricavarne effetti mai visti, giunge ai confini dell’astrazione non perché stia anticipando il Novecento, ma perché insegue la più impalpabile delle visioni: la luce. Chissà se sarebbe mai arrivato così lontano con la pittura se non avesse avuto la sua borsa con i panetti di blu oltremare, di giallo Napoli, di carminio. Grazie ad essi Turner fu scelto come nume tutelare dagli impressionisti.
È alla fine dell’800 che l’acquerello entra nella stagione della maturità e può dispiegare la sua vera natura: quella di una tecnica perfetta per le avanguardie, nata per liberare il gesto, per sviluppare tutte le infinite possibilità del colore, per accogliere la vitale casualità delle colature. Per emanare luce. Per sperimentare. Non certo è un caso se la prima opera astratta è un acquerello di Kandinskij. E non è un caso se, dipingendo con i colori ad acqua, Rothko vede per la prima volta sciogliersi le sue figure in campi di colore. E cerca poi di ottenere gli stessi effetti sulle grandi tele. È la rivincita definitiva di questa Cenerentola delle arti: è la pittura ad olio ad inseguirla, cercando di imitarne la sua stupefacente, leggerissima, bellezza.