Il Messaggero, 21 novembre 2021
La bambina di Spokane, risolto il giallo del 1959
Intere generazioni di poliziotti si sono avvicendate da quella sera del 7 marzo del 1959 quando una bambina di nove anni scomparve in un’area residenziale di Spokane, nello Stato di Washington. Intere generazioni si sono dedicate a cercare il suo omicida, dopo che il suo corpo martoriato venne trovato due settimane più tardi sepolto a dieci chilometri dalla città, nel folto della foresta. E 62 anni più tardi, il colpevole è stato finalmente identificato: «Se commettete un omicidio nella nostra città, dovrete vivere guardandovi alle spalle, perché noi non smettiamo mai di cercare» ha commentato il detective Zac Storment, che aveva ereditato il caso tre anni fa.
LA STORIA
La storia di Candice Candy Elaine Rogers non è stata mai dimenticata a Spokane, nonostante i decenni trascorsi. Quella bambina bionda era andata a vendere mentine di casa in casa, per raccogliere fondi per il suo club di girl scout. Al cadere della sera, non era tornata a casa. Nell’arco di poche ore oltre mille e 500 volontari si raccolsero per cercarla. Boy scouts, parrocchiani, vicini di casa, a piedi, in auto, a cavallo si affiancarono alla polizia e alle forze armate, che inviarono un elicottero. La zona di Spokane era molto selvatica allora, con grandi foreste e terreni accidentati. Difatti appena dopo un giorno dall’inizio delle ricerche, l’elicottero urtò contro i fili dell’alta tensione e precipitò nel lago. Tre uomini morirono, due furono salvati dagli stessi partecipanti alla ricerca, che riuscirono a tirarli fuori dal lago gelato. Ma a trovare i resti della bambina furono due soldati andati a caccia: videro un paio di scarpine bianche fra le foglie, nel sottobosco della foresta, e chiamarono la polizia. Candy era stata sepolta, dopo esser stata barbaramente violentata e strangolata con la sua stessa sottoveste. Le indagini furono subito complicate per l’eccesso di testimoni: quel pomeriggio decine di girl scout erano in giro per la città a vendere mentine, e quindi le tracce di Candy furono difficili da identificare. Vari sospetti furono indagati e interrogati, senza risultato. Ma i poliziotti avevano fatto un egregio lavoro nel conservare ogni piccola prova trovata. E proprio mentre ripassava quelle prove, l’agente investigativo Storment decise di consultare un nuovo laboratorio in Texas, che aveva fama di essere all’avanguardia nelle ricerche su campioni di Dna anche molto vecchi o danneggiati. E difatti, nel laboratorio furono in grado di trovare tre possibili candidati indagando nei database di siti di ricerca genealogica.
I SOSPETTI
I sospetti erano i tre fratelli Hoff, che vivevano non distante dalla casa della bambina. Uno di questi, John Reigh Hoff si era suicidato nel 1970, ed era l’unico che risultava avere avuto una figlia. Gli investigatori contattarono la signora, che aveva proprio nove anni, la stessa età di Candy, quando il padre si suicidò. La signora ha pienamente partecipato alle indagini, offrendo il proprio Dna, e già questo sarebbe stato sufficiente per inchiodare John. Ma il detective non si accontentò: «Prima di gettare l’accusa di infanticida stupratore sul collo di un uomo, anche se è morto, voglio avere la certezza». Il corpo di Hoff è stato dunque esumato, e a quel punto ogni residuo dubbio è stato cancellato: era stato lui a stuprare e uccidere la bambina, come provava il Dna ritrovato sugli abiti e sul corpo della piccola. Del resto, appena tre anni dopo quell’atto di incredibile crudeltà, Hoff era stato fermato per aver attaccato una donna. Inspiegabilmente allora gli erano stati comminati appena sei mesi di prigione, nonostante avesse tentato di strangolare la sua vittima, al punto anzi che credeva di averla uccisa. Nel 1970, senza lasciare messaggi, poco dopo il nono compleanno della propria figlia, Hoff si sparò un colpo di pistola alla tempia.