Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2021
Il sesso è in crisi
Sembra che il sesso sia diventato una cosa poco interessante. I giovani occidentali, pur godendo di una libertà inaudita, se proprio devono occuparsene, preferiscono guardare al fare, il caso fortuito al corteggiamento. Il fenomeno ha ricevuto anche il suo nome accademico: «recessione sessuale». Qualche mese fa, l’Institute for Family Studies è giunto a sostenere che si tratterebbe di una vera e propria «depressione», una sorta di 1929 dell’intimità. Tutto questo clamore è forse esagerato. I dati disponibili sono frammentari e spesso controversi. Resta il fatto che in tutti i paesi liberali dove si raccolgono dati sui comportamenti sessuali, la pratica degli stessi non fa faville. Persino gli studi di marketing sembrano indicare che il sesso non faccia più vendere come una volta. Non è un rigurgito di repressione o di oscurantismo. Gli intervistati sembrano sereni: dicono che praticare il sesso richiede impegno. Farlo rischia di complicare amicizie altrimenti piacevoli. Non sono sicuri ne valga la pena.
Secondo Google, il dibattito sulla depressione/recessione sessuale ha prodotto in una manciata di anni ben 600mila pagine. Come mai tanto interesse? Per capirlo, dobbiamo guardare più ai significati collettivi che non ai comportamenti individuali. Nei paesi occidentali, da quando gli individui hanno avuto un qualche margine di scelta, il sesso è stato molte cose, forse troppe. Cose splendide e meschine, liberatorie e costrittive, piacevoli e disgustose. Per tutti, una volta o l’altra, ridicole. Per chiunque sia nato e cresciuto nella lunga rivoluzione sessuale italiana – tra i sequestri dei libri di Giò Stajano e l’arrivo di Pornhub – l’unica cosa inconcepibile è che il sesso possa essere poco interessante.
E come potrebbe? Per millenni, quantomeno dalle società agricole, gli umani hanno conferito un’enorme importanza alla loro vita sessuale. Tale da richiedere una regolazione minuziosa ed occhiuta, una ferrea ragnatela di obblighi e interdizioni. Poi qualcosa è cambiato, sia nelle teste sia nei comportamenti (non sempre allo stesso momento). È nata la bizzarra idea che sia lecito avere qualche grado di libertà in più nel fare quello che si vuole con chi si vuole. Cosa valida all’inizio per cerchie ristrette, e a caro prezzo (soprattutto per le donne). Successivamente, per strati sociali sempre più vasti.
Questo ha conferito al sesso una rilevanza ancora più straordinaria. Farlo, lottare per farlo, parlare di farlo, desiderare di farlo: il sesso è diventato il simbolo, e la prova esistenziale, dell’allineamento degli individui con tutte, nessuna esclusa, le promesse della Modernità (quella con la M maiuscola): libertà, autenticità, realizzazione di sé, apertura mentale. Un’esperienza dove rivelazione, emancipazione e godimento dovrebbero andare a braccetto. Generando una conseguenza imprevista. Quando il sesso delude – e sembra deluda spesso –occorre riconoscere di non essere stati abbastanza maturi, abbastanza consapevoli, abbastanza competenti. Cosa non piacevole, ed un pochino ansiogena: il giardino delle delizie è sempre nel futuro. Michel Foucault è noto per avere scritto una storia della sessualità che prescinde da qualunque evidenza storica. Ma anche per avere fornito la migliore descrizione della situazione: i moderni sono sempre costretti ad assumere che «domani il sesso ritornerà grandioso».
Il motto di Foucault è diventato il titolo di un libro di Katharine Angel che merita di essere letto con attenzione. Poco più di 160 pagine, scritte con grande levità (cosa assai rara nei dibattiti su sesso e relazioni di genere). L’autrice ha una capacità rara di muoversi con destrezza tra materiali diversi: controversie filosofiche, filmini pornografici, dibattiti sull’interpretazione scientifica di dati comportamentali e persino qualche opera d’arte. Tutto ciò a servizio di una tesi incendiaria: secondo l’autrice, ciò che oggi impedisce al sesso di tornare ad essere trasformativo – ciò che lo rende tedioso e poco appetibile – sono proprio le cose che invochiamo per considerarlo giusto: il consenso sistematico e continuativo di tutte le persone coinvolte e il diritto, soprattutto delle donne, di fare valere le proprie preferenze sessuali. Con grande serenità, Katharine Angel trasforma i benigni guardiani del giardino delle delizie progressista negli oscuri demiurghi della depressione sessuale.
Prima che i maschi sciovinisti di tutto il mondo comincino a sfregarsi le mani, è bene chiarire. L’autrice non intende sostenere in alcun modo che per fare del buon sesso bisogna fregarsene del consenso. E ancora meno che gli orientamenti e le preferenze delle donne siano soltanto un fastidioso intralcio. Sostiene piuttosto che rispettare il carattere integralmente consensuale dell’atto sessuale è una condizione necessaria, ma lungi dall’essere sufficiente, di un’esperienza sessuale vagamente appetibile. Ciò che rende indimenticabile un’esperienza erotica non è il fatto che tutto ciò che siamo e che vogliamo in astratto sia stato rispettato, quanto dal fatto di avere scoperto – per vie tortuose, localizzate e non prive di ambiguità e rischi – qualcosa che non sapevamo di volere.
L’ideologia del consenso – cosa diversa dal requisito legale e morale del consenso – è per l’autrice semplicemente l’imposizione asfissiante del dovere di sapere sempre quello che si vuole. Convertendosi nell’obbligo, soprattutto per le donne, di essere perfettamente consapevoli di ogni dettaglio del proprio Sé sessuale. Quando invece una buona parte del valore di ogni esperienza sessuale “grandiosa” risiede proprio in ciò che supera ciò che ognuno di noi sa delle proprie preferenze e dei propri orientamenti.
Alla fine (Katharine Angel non lo dice ma lo fa intravedere) le attuali controversie sul sesso sono solo l’ennesimo esempio del contrasto tra l’individualismo moderno e un dato antropologico ben conosciuto, e proprio per questo studiosamente dimenticato: gli esseri umani raramente desiderano ciò che sono consapevoli di preferire.