Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2021
Pinocchio al contrario
Il nuovo romanzo di Fabio Stassi è una «favola capovolta». Rilegge e riscrive Le avventure di Pinocchio, ma rovescia il libro, ora privo di prodigi, di fate turchine, di grilli e ceppi parlanti, di nasi di legno che si allungano a ogni scroscio di bugie, per farne il vangelo apocrifo di un vecchio padre a cui è stato «bestemmiato» persino il nome (si chiamava Giuseppe, il falegname, e per scherno l’hanno ribattezzato Geppetto) e che, vecchio e decrepito com’è, va alla ricerca disperata del proprio figlio disperso tra i selvaggi eventi topografici di un paesaggio degno delle peripezie di un paladino. Al lettore, Stassi consegna e affida il libro fantasticamente realistico delle disavventure del suo Mastro Geppetto.
La «Nazareth» di Geppetto «è un borgo cattivo sul dorso di un Appennino che ha per gioco preferito quello di lapidare gli scemi, i senzafamiglia e i morti di fame». Il falegname vive in una «casaccia storta», in una «grotta di tufo», in una «casupola … ferma sull’orlo dell’abisso, in attesa degli unici movimenti che il destino ha in serbo per lei: la frana e l’abbandono». Geppetto appartiene a una stirpe di poveracci: «il più ricco dei suoi nonni chiedeva l’elemosina»; lui è un morto di fame. Nel villaggio, tutti sono a conoscenza della sua fissazione, del suo punto debole: sogna di costruirsi una marionetta, di tenerla come un figlio, di girare con essa il mondo e procurarsi così di che vivere. In paese gli tessono attorno una beffa corale degna del ridevole dileggio della celebre Novella del Grasso legnaiuolo. Gli regalano «una corteccia dura di catasta». Gli fanno credere che con questa «legna magica», che ride se le si fa il solletico «e … che ha una vocina che non sta mai zitta», può finalmente realizzare il suo sogno. Potrà piallarla e farla diventare una marionetta, un figlio di legno vivente. Geppetto, reso vulnerabile dal suo senso di solitudine, dalla mestizia senile, e dal suo tenero desiderio di paternità, cade nella trappola. Dà inizio alla «natività», mentre l’intero villaggio è in (divertita) attesa della «buona novella». Il lavoro, il «travaglio», è presto finito. Geppetto esce fuori della grotta e guarda «in un punto imprecisabile del cielo, … con i pochi capelli spettinati sulle tempie, come se sopra la sua testa fosse appena apparsa la meraviglia di una cometa».
Il «carnevale» della cospirazione paesana continua ad accanirsi contro Geppetto, che viene fatto arrestare per una notte con l’accusa di voler indurre al vagabondaggio il figlio, sottraendolo all’obbligo scolastico. Il confuso padre viene liberato. E riesce a procurarsi un abbecedario. Per fare entrare il figlio a scuola è costretto a scomodare il «nome di san Giuseppe falegname». A scuola chiudono in un armadio la marionetta. E viene fatto credere al padre che il figlio è uscito e si è smarrito nel bosco nell’intento di andar dietro alla compagnia del Gran Teatro dei Burattini, laddove Pinocchio è stato consegnato alla coppia delinquenziale del finto «cieco» e del finto «zoppo». Comincia l’erranza di Geppetto, alla ricerca del figlio, in un crescendo narrativo che porta il falegname a costeggiare e a indossare come un piviale di passione le disavventure del Pinocchio di Collodi. Riesce, il vecchio artigiano, persino a recuperare momentaneamente il figlio-marionetta, salvato dal «calvario» di un afforcamento: «Seduto per terra, imbrattato di fango, con quel simulacro di figlio tra le mani, pareva una di quelle pietà medievali che si incontrano negli oratori delle chiese di montagna, ma era come se l’anonimo autore della scultura si fosse confuso e a deporre il corpo martoriato di Gesù dalla croce avesse raffigurato per errore suo padre in persona, ormai vecchissimo, e non più Maria, la madre legittima, come si è sempre raccontato. Del resto il suo era un paese senza madonne, e senza resurrezione».
Sul capo di mastro Geppetto si addensano molte ombre e funeree atmosfere. L’errante, sempre più colpito dalla sorte, finisce nel «vecchio ospitale dello Spirito Santo o della Consolazione». Si improvvisa poi clown in un circo, in coppia con l’uomo caudato; e inscena «l’involontaria comicità di tutti i poveracci della terra». Stressato, scheletrico, perde parola e memoria. Viene rinchiuso nella Real Casa dei Matti, nel padiglione chiamato il Pesce-cane, «perché di tutti quelli che ci vengono ricoverati non se ne sa più nulla, come se si fossero dispersi in mare o li avesse inghiottiti un enorme mostro marino». La vicenda si chiude con una catartica metamorfosi. Geppetto è diventato una «marionetta», «rigida e inerte: un semplice tocco da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanza … Domani, nel letto, non troveranno che questo vecchio pezzo di legno».
Intervistato, Stassi ha dichiarato: «Geppetto è un falegname ammalato di miseria, di solitudine e di vecchiaia, eppure ha il sogno perturbatore di diventare un burattinaio. È padre, ma in qualche modo è anche madre perché concepisce una marionetta e gli dà forma. La sua è la rivendicazione del diritto di amare, a prescindere da tutto, ed è una storia sullo storto e sulla violenza del mondo. E davvero sarebbe bello se suscitasse, in chi la leggerà, un moto di rabbia e di giustizia e che Geppetto, con la sua solitudine e la sua vulnerabilità, potesse dare voce a tutte le solitudini e a tutti i vulnerabili del nostro tempo».
La «favola capovolta» di Stassi è un grande romanzo, con la sua felicità di scrittura, con la sua sapienza ritmica, con la sua pulitezza di lingua, con la sua originalissima rivisitazione delle Avventure di Pinocchio attraverso la Passione di Mastro Geppetto.