Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2021
L’Italia traina la ripresa europea
Settimi al mondo. E locomotiva dell’Ue. Dopo il tracollo di oltre 40 punti nel bimestre marzo-aprile del 2020 l’Italia «non solo ha recuperato stabilmente i livelli di attività precedenti allo scoppio della pandemia» ma ha un andamento migliore di Germania e Francia, che sono lontani dal riassorbire lo shock del Covid: la produzione tedesca è il 10% inferiore rispetto ai livelli pre-crisi, quella francese del 5 per cento. È il quadro che emerge dal rapporto Scenari industriali del Centro studi di Confindustria, dal titolo “La manifattura al tempo della pandemia. La ripresa e le sue incognite”, presentato ieri in Confindustria. La manifattura italiana, anche nel 2020, si conferma tra le più virtuose al mondo in termini di emissioni ridotte, insieme a quella tedesca e francese, mentre sono aumentate quelle della Cina (+1,6). A livello globale dopo il crollo dei primi mesi del 2020 l’attività industriale ha risalito la china. Ma dopo il rimbalzo, «il percorso di crescita si è sostanzialmente interrotto nel 2021», nel mondo avanzato e in quello emergente. Ci sono stati gli effetti negativi dei lockdown in molti paesi emergenti, l’aumento dei costi del trasporto, la crisi energetica in Cina. A livello mondiale alcuni settori, farmaceutica, elettronica e meccanica strumentale sono andati meglio, male mezzi di trasporto e moda. Per gli investimenti diretti esteri nel 2021 si prevede una crescita tra il 10 e il 15%, a beneficio soprattutto dei settori della salute e della transizione ecologica.
Alessandro Fontana, direttore del Csc, ha spiegato i motivi del nostro recupero: una dinamica della componente interna della domanda, grazie alle misure di sostegno varate durante l’emergenza. A fronte di un fatturato estero che ad agosto 2021 ha segnato +2,8% in valore rispetto al picco di febbraio 2020, il fatturato interno ha registrato nello stesso arco temporale un +7,0 per cento. La crescita è trainata innanzitutto dai comparti legati alle costruzioni dove c’è un boom di investimenti: +13,1 nel secondo trimestre 2021 rispetto al quarto 2019, grazie a incentivi e investimenti pubblici; +2,6% quelli in macchinari, attrezzature e hardware, ai massimi dell’ultimo decennio (+2,6% su fine 2019), mentre nei mezzi di trasporto siamo a -18 per cento.
Il recupero tra i settori è disomogeneo: si confermano le dinamiche globali, +8,9 le apparecchiature elettriche, dispositivi elettronici +5%, -38,7 abbigliamento, -15,3 pelletteria, – 6,4 automotive e -11,5 altri mezzi di trasporto. Per quanto riguarda le specificità italiane +9,5 legno, +8,2 minerali non metalliferi, -7,2 la farmaceutica, in controtendenza. Pesa in positivo la bassa esposizione delle imprese manifatturiere italiane alle strozzature che stanno affliggendo le catene globali del valore: solo il 15,4% delle imprese intervistate nella seconda parte del 2021 ha lamentato vincoli all’offerta di produzione per mancanza di materiali o insufficienza di impianti, contro una media Ue del 44,3% e il 78,1% in Germania.
Bene gli scambi con l’estero, in modo «rapido e robusto» sopra i livelli pre-crisi: l’export ha segnato +2,1% in volume e +7,6% in valore (dati del terzo trimestre 2021 su inizio 2020). La buona performance c’è stata soprattutto rispetto all’export tedesco; da un valore pari al 34% nel 2015, ha spiegato Fontana, è risalito sopra il 37% nel 2021.
La tenuta della capacità produttiva, che è stata sostenuta anche da un massiccio ricorso ai prestiti garantiti dallo Stato, ha scongiurato una forte ondata di chiusure ed evitato ricadute negative sull’occupazione: alla fine del secondo trimestre 2021 le ore lavorate nell’industria erano sotto i livelli pandemici del 4,2% rispetto allo stesso periodo del 2019, gli occupati dell’1,1. Per la seconda parte dell’anno, dice il Rapporto, le attese delle imprese manifatturiere restano positive. Il debito contratto dalle imprese, però, nel 2020 è stato pari a 4,1 punti di fatturato rispetto allo 0,3% del 2019. Si sono indebitate e questo pone un problema, ha detto Fontana, di patrimonializzazione per far pronte agli investimenti. Infine, si torna a casa: il 23% di chi ha rapporti di fornitura estera ha avviato questo processo (21% parziale, il 2% totale).