il venerdì, 19 novembre 2021
Su "Farfalle e falene. Il libro dei disegni di William Jones" a cura di Richard Irwin Vane-Wright (Einaudi)
Vladimir Nabokov amava gli scacchi e ha suddiviso la vita a fette. Visse vent’anni in Russia, vent’anni in Europa, vent’anni negli Stati Uniti e - lieve anomalia che conferma l’estro cartesiano dell’autore - poco meno di vent’anni in Svizzera. Abbozzava i romanzi su piccoli fogli, accuratamente schedati, con la pazienza ossessiva dell’entomologo. In effetti, su tutto adorava le farfalle. Nelle fotografie che lo ritraggono per boschi, con un retino che pare la Via Lattea, ha l’espressione pericolosa, di un dio che voglia enumerare le virtù del proprio creato. Anche in quell’ambito, dicono, era geniale, audace, polemico: negli anni Quaranta aveva lavorato per dare decenza alla raccolta di farfalle dell’Università di Harvard; gli articoli pubblicati sul The Lepidopterists’ News - ad esempio, A caccia di farfalle nel Wyoming - mantengono, pur nel rango scientifico, una bellezza, per così dire, schizoide. Naturalmente, i romanzi di Nabokov, effimeri e dunque indistruttibili, sono ricchi di farfalle. In Fuoco pallido compare una "farfalla Vanessa", "un insetto molto vivace" che "ho visto banchettare con prugne melmose e, una volta, con un coniglio morto"; cos’è Lolita, d’altronde, se non una farfalla - la "ninfetta", nymphet, è una nymphalidae, nota "famiglia di farfalle notturne" - appena uscita dalla crisalide dell’infanzia, degna di durare un attimo, immacolato, prima di crollare nel regno putrefatto degli adulti?
Una selezione di Lepidoptera illustrata in Jones’s Icones, che mostra la parte inferiore delle ali (University of Oxford, Museum of Natural History)
Nel 2016 la Yale University Press ha raccolto come Fine Lines le farfalle pitturate da Nabokov; i disegni non sono granché, affascinanti, piuttosto, sono i nomi che Vladimir, con aristocratico distacco, affibbia alle sue farfalle: Vanessa incognita; Paradisia radugaleta; Polygonia thaïsoides. Dedicava queste farfalle inaudite alla moglie, Vera, che lo scortava durante le sue cacce. Di una di queste è rimasta traccia in un articolo pubblicato il 23 ottobre del 1970 sul Times Educational Supplement: per inseguire "una sottospecie incantevole e inaspettata" della Bolaria pales, Nabokov si è sporto fino "a Limone Piemonte, dove la trovai a circa 2100 metri" .
Se sfoglio il repertorio delle Icones di William Jones, fantasmagorica collezione di 1.296 farfalle dipinte appartenenti a 856 specie, "prodotta fra il 1780 e il 1810", della Bolaria pales - qui chiamata Daphne - ammiro la livrea tigrata, la fragilità che ne impreziosisce il manto. Einaudi pubblica come Farfalle e falene. Il libro dei disegni di William Jones (pp. 690, euro 65), facendosene vanto - è, si legge, "la prima edizione mondiale della celebre raccolta di disegni del naturalista settecentesco" - , e a ragione: il tomo, superbo - il "tesoro nascosto" delle Jones’ Icones si può visitare, altrimenti, nella biblioteca del Museum of Natural History dell’Università di Oxford - , è audacemente inattuale. Per chi, come me, di farfalle sa nulla, il libro arcano va preso come una mappa celeste, anzi, come un repertorio di ideogrammi: ogni farfalla, in effetti, pare un simbolo, incunabolo di enigmi, sulle ali di una di queste, è certo, è siglata la cifra che vanifica il tempo, la data dell’Apocalisse.
Il gioco, dilagando nel caso, cominci: io, di mio, alle farfalle effervescenti, che imbambolano - sul torso pare abbiano stampato un volto, volitivo e sardonico - come la Papilio ulysses, indonesiana, preferisco quelle larghe un’unghia, quasi invisibili, arcangeliche, degna testimonianza che Dio va sfiorato al microscopio, la Leptomyrina phidias, ad esempio, che pare ritagliata nel cristallo.
Resta la domanda mastodontica: che cosa ci attrae delle farfalle? Che cosa, questi cartigli volanti, dicono di noi, in quale segreto ci installano? Certo, la bellezza è vana, e soltanto dal bruto bruco, nel crogiolo della crisalide, opera alchemica della natura, può nascere la meraviglia, vaga, transitoria, crudele per brevità. Ah, le farfalle, questi sigilli di un’esistenza celeste perduta, appena ricordata, per cumuli d’eco... La Bibbia è priva di farfalle, eppure, per devozione entomologica, il lepidottero è assunto come simbolo di resurrezione: così Jean Malouel, pittore olandese dei primi del XV secolo, dipinge una Madonna assediata dalle farfalle; è clamorosa, invece, La caduta dei Titani di Cornelis van Haarlem, un altro olandese, siamo nel XVII secolo, dove farfalle a mucchi trafiggono i corpi muscolari, nudi, eccessivi, dei giganti che crollano nell’abisso. Emily Dickinson, abile nello sfarfallio aforistico, dice della farfalla l’arte della fuga: "Vennero a mezzogiorno due farfalle/ a fare un valzer sulla fattoria", scrive, nella poesia 533, "e svanirono insieme/ sopra un mare splendente". Alcune fra le più belle farfalle notturne sbucano dai romanzi di W.G. Sebald - Gli anelli di Saturno, in questo caso - e nelle memorie di Walter Benjamin; secondo Rainer Maria Rilke le beau papillon è pari a una "miniatura", è dunque un’immagine che deve restare indecifrata, refolo dell’altro mondo, gioielleria d’angelo; nei Fragments Ezra Pound giura di "aver sentito la farfalla ansimare/ come ponte lanciato sui mondi".
Ghiotto di lepidotteri, Guido Gozzano dedica alle farfalle il poema più strampalato, le Epistole entomologiche (nel 2014 ne fece un’edizione di pregio l’editore Raffaelli). Già, Gozzano gozzovigliava in creature alate: "Raccolgo farfalle... Io sono un entomologo profondo ed appassionatissimo", confessa, nell’estate del 1909 a Giulio De Frenzi. In uno di questi poemi - che disordinato sortilegio - Gozzano sfida l’esoterismo Dell’ornitottera, "Mistero intraducibile ch’emana/ dalle farfalle esotiche! Lo sguardo/ si perde, si confonde sbigottito/ come da forme soprannaturali". L’esemplare - Ornithoptera priamus - "presente con diverse sottospecie dall’Indonesia orientale alle Isole Salomone all’Australia nordorientale", è tra le meraviglie della collezione di William Jones, ha l’inquietudine di occhi che ti fissano, scavando fino all’indegno.
Stando alla descrizione di Richard I. Vane-Wright, il curatore del volume, William Jones non era un tipo interessante. "Ricco londinese, commerciante di vini", poeta all’occorrenza, "versato nelle lingue ebraica e greca", visse l’ultima parte della sua vita - morì nel 1818, a 73 anni, a Chelsea, dove si era ritirato - occupandosi di farfalle, disegnandole. La sua ossessione, assai English, si situa tra l’ostentato collezionismo degli abbienti d’Albione e i grandi viaggi che all’epoca lambivano ogni angolo del globo. Più intrigante uno dei suoi amici, Joseph Banks: esplorò Terranova e il Labrador, accompagnò James Cook nel primo viaggio nel Pacifico, fu baronetto, botanico, mitico presidente della Royal Society, colmando di esotismi vari il regno di Sua Maestà. William Jones, per così dire, viaggiava dipingendo le sue disarmanti farfalle, era un avventuriero mentale, consapevole, forse, che il lepidottero è il simbolo gnostico per antonomasia: dalla brutalità della materia, dopo l’ascesi, la clausura nella crisalide, nasce la forma celeste. In una delle sue spiazzanti Storie proprio così, Rudyard Kipling, maestro massone, s’inventa la leggenda di Salomone, il re sapiente, che "parlava a una farfalla come un uomo parlerebbe a un altro uomo"; la farfalla - debolezza fittizia, gnosi all’ennesimo grado - è capace di disintegrare il palazzo reale perché domina su "Demoni e Geni".
Ma non abbiamo ancora toccato il punto supremo. Nello Zhuangzi, il testo fondamentale del Taoismo, si narra che Zhou "sognò di essere una farfalla, che volteggia liberamente e si diverte, consapevole dei propri intenti"; al risveglio, obnubilato dal volo, "non sapeva se Zhou aveva sognato di essere una farfalla, o se una farfalla stava sognando di essere Zhou". In effetti, tra sogno e realtà non c’è didattica distanza, e anche noi siamo "creature di un giorno", come le farfalle. L’oceanico repertorio di William Jones, così, va letto, anche, come un implacabile memento mori.