Corriere della Sera, 21 novembre 2021
Intervista al soprano Maria Agresta
Nell’immaginario, le eroine del melodramma sono pallide figure sacrificali. Ma è davvero così? Certo, ci sono Violetta, Mimì, la geisha Cio-Cio San. E nel pacchetto si comprende Desdemona. Mario Martone nel suo Otello al San Carlo sposta la prospettiva, la sposa del Moro (Maria Agresta, nel pieno di una carriera internazionale) diventa una soldatessa in mimetica che fa il saluto militare.
Maria, cosa ne pensa?
«Io non ne ho mai dato una connotazione tradizionale. Ma finalmente qui è una donna forte che non subisce, si ribella, ha una sua dignità, è una persona perbene che non vede il male, non lo conosce. D’altra parte è una ribelle che sceglie il suo uomo, di fede e di colore diverso, contro la volontà del padre».
Nell’Ave Maria, lei impugna la pistola.
«È un allestimento contemporaneo, al passo con i tempi. Ci sono tante sfumature, una anche sarcastica, quasi a prendere in giro se stessa, quando dice a Emilia, prepara la veste nuziale. Sono nozze travagliate dall’inizio: prima la guerra, poi la gelosia…»
Ricorda Lady D, e poi quel finale così nuovo…
«Lady D mentre do una parola di conforto a bambini e malati all’ospedale da campo, sì…Ma una produzione a Zurigo era proprio modellata su Diana. Sul finale, Martone non vuole vedere Otello che piange sul “mio” cadavere, un romanticismo inaccettabile, è troppo semplice pentirsi dopo avere ucciso».
Le donne forti della lirica: a parte Carmen, Odabella, Isabella…
«Carmen incarna la donna libera, non solo in amore. Odabella è la donna patriottica e fiera che inganna Attila, lo sposa per ucciderlo».
Tosca.
«La forza le viene dalla religiosità, l’amore per la fede».
Adalgisa è la solidarietà femminile.
«Che tante volte viene bistrattata. Deve rinunciare a qualcosa, è l’altra faccia di Norma».
Leonore?
«Nel Fidelio fa cose non normali, si traveste da uomo per liberare Florestan».
Rosina la «vipera» astuta?
«Mi fa molta simpatia. In ogni donna c’è qualcosa di lei, è la parte fanciullesca, frivola che ci resta dentro».
Ricorda un po’ le Comari di Windsor.
«Che non ci stanno a farsi prendere in giro da Falstaff. Quanto a Isabella dell’Italiana in Algeri, è ironica, è la donna tutta azione che usa mente e seduzione per liberarsi da qualcosa che non le piace».
Brunhilde?
«Si sottomette per obbedienza al padre. Però è una guerriera».
Chi sente più vicina a lei?
«In tutte loro c’è qualcosa che mi riguarda. Io cerco di rigare dritto, ho il senso del dovere. Ciò che non tollero è l’imposizione».
Si è mai ribellata contro un regista?
«Una volta un regista nel Don Giovanni voleva togliere un verso su Donna Elvira».
Ma quello non è un libretto: è «il» libretto!
«Infatti. Lui non capiva lezzo immondo e voleva sostituire queste parole con una risata. Mi opposi e la spuntai»
L’opera è maschilista?
«No, è un mondo magico e perfido dove tutto è possibile e impossibile. Sarà che io sono fuori da certe dinamiche, vivo i teatri quel che basta, poi stacco la spina e sono Maria».
E come si racconta Maria?
«Sono una donna di 43 anni che come tutti ha vissuto anche dolori e sofferenze, sono divorziata, la gioia di un figlio non mi è stata concessa però sono zia di sette nipoti, sono rimasta in Svizzera dove era andato a vivere l’uomo che avevo sposato».
A casa assecondavano la sua passione?
«Sì, ma non volevano alimentare illusioni. Vengo da una famiglia umile e semplice di Vallo della Lucania, dove non c’erano teatri. I miei fratelli fanno chi il poliziotto, chi la fisioterapista o l’insegnante. Da piccola ascoltavo i dischi di Maria Callas. Ero una bambina silenziosa che non parlava mai, il canto era l’unico modo per mettermi in mostra evadendo dalla mia pacata serietà. Poi l’incontro col coro parrocchiale. Cantai l’Ave Maria alle nozze di mia sorella. Finché dissero ai miei che avevo una bella voce...Il Conservatorio a Salerno, a Modena con Raina Kabaivanska, che è stata fondamentale».
Comunque ora non diciamo che le eroine dell’opera sono tutte pasionarie.
«Si sacrificano cercando di ottenere qualcosa. Anche se poi muoiono sempre. Ma sennò la funzione catartica dei nostri amati greci non si otterrebbe».
Sono tante le suggestioni di questo Otello, il fazzoletto, il deserto come miraggio, paesaggio mentale…
«Il fazzoletto è militare, lo portano tutti i soldati solo che il mio è rosso. Il deserto richiama anche i fantasmi, c’è questo senso di svuotamento prima del vortice terribile. A me piace anche il Salice, dove Desdemona, citando Barbara, la povera ancella, in realtà parla di se stessa. La vivo come un’aria della pazzia…».
Ci stavamo dimenticando di Matilde di Shabran al Rof
« Giusto. Sarebbe imperdonabile...Donne nate per vincere e regnar».