Corriere della Sera, 20 novembre 2021
Rosy Bindi, la presidente che non verrà eletta
Per quanto cattolicissima, sogna la clonazione. Solo politica, però. «Ah, se si potesse clonare Sergio Mattarella!», sospira. Trasuda nostalgia per il capo dello Stato prima ancora che se ne sia andato. Ma la nutre anche per Oscar Luigi Scalfaro, il presidente democristiano che affrontò lo sconquasso della fine della Prima Repubblica e l’ascesa di Silvio Berlusconi. Già da questi primi indizi si indovina dove pulsi il cuore di Rosy Bindi, ex ministra del governo di Romano Prodi, ex parlamentare, ex presidente della commissione Antimafia. Ma soprattutto dove non batta. Anche se dire che sarebbe una candidata divisiva al Quirinale, le fa uscire fuori il carattere polemico e combattivo.
Subito rivendica di avere guidato l’Antimafia con un appoggio unanime. Non perché si senta in corsa, però: figurarsi. «Chi si candida al Quirinale non ha la testa a posto e farebbe bene a starsene a casa», scolpisce. E a riprova del suo distacco aggiunge che sta «cercando di fermare la raccolta di firme dei movimenti favorevoli alla mia elezione». Finora sono poche migliaia, in un gruppo su Facebook che chiede «se fosse una donna la prossima presidente della Repubblica?», con foto di una Bindi sorridente. «Io non c’entro nulla», ribadisce lei. E poi, di donne di cui si sussurra il nome ce ne sono molte, in questa fase.
Raccontano che «Rosy» stia molto attenta alle voci che stanno fiorendo sulle potenziali candidature femminili. I maligni sostengono che, da ex dirigente di Azione cattolica, non condivida fino in fondo i riconoscimenti che colleziona la Guardasigilli, Marta Cartabia: sia perché le attribuisce simpatie per Comunione e liberazione, concorrente storica dell’Azione cattolica nel mondo dell’associazionismo, sia per la sua riforma della giustizia. E quando sente parlare delle strategie berlusconiane, scuoterebbe la testa davanti ai nomi che si fanno. Il vero candidato coperto di Berlusconi, avrebbe confidato agli amici, sarebbe Letizia Moratti: ex ministra, ex sindaca di Milano, oggi numero due della Lombardia.
E lei? Lei, «la Bindi», si schermisce. E non solo perché il numero delle firme raccolte è bassino: quello conta relativamente. Si intuisce, piuttosto, l’idea di essere una campionessa della cosiddetta «società civile», della democrazia «dal basso», dei movimenti virtuosi e lontani dai Palazzi. E poi, osservando l’attuale Parlamento e la platea dei «grandi elettori», Rosy vede soprattutto nemici. Un centrodestra forte, seppure diviso. Un renzismo che a suo avviso deborda oltre i confini del Pd, infiltrandolo. Conclusione: «Neanche con cinquanta milioni di firme potrei mai essere eletta». Non che sia ostile al potere legislativo, anzi. D’altronde, è stata deputata dal 1994 al 2018.
«Società civile»
L’ex presidente dell’Antimafia: neanche con 50 milioni di firme potrei mai essere eletta
«Io sono affezionata alla Costituzione, e quindi è giusto che i grandi elettori siano questi e non altri», premette. «Ma un orecchio al Paese lo devono mettere, non giuocare solo sugli equilibri e le lotte di schieramento». E quelle firme da «piccoli elettori» sono un rumore di fondo magari innocuo, senza conseguenze sui grandi giochi dai quali si sente esclusa; ma sotto sotto le fanno un enorme piacere: la fanno sentire una sorta di «Davide» femminile contro i «Golia» dei partiti. Le hanno riferito che in tv una vecchia partigiana ha detto che «la Bindi sembra una suora, ma è competente», e l’ha considerato un bel complimento. Le donne democristiane che la conoscono da anni, addirittura da quando militava nell’Azione cattolica, concordano sulla sua preparazione politica.
Ma in parallelo la descrivono come un tipo fumantino, alla quale piace il potere; e che è incline a essere burbera anche quando vuole fare un complimento. In più, la accusano di essere troppo legata a un’idea di sinistra che negli anni è stata logorata e disintegrata dalle scissioni, da un antiberlusconismo pregiudiziale, e poi dal populismo del Movimento Cinque Stelle. Quando parla di Scalfaro, capo dello Stato nel settennato iniziatosi nel 1992, lo paragona a Mattarella. «Anche lui ebbe a che fare con una crisi finanziaria, oltre alle stragi di mafia e alla coda del terrorismo nero. E con una crisi di sistema dalla quale emerse Berlusconi. Ci ricordiamo che cosa fu quel periodo?». Rosy Bindi ne parla come un incubo quasi personale, oltre che politico.
Ha sempre visto il Cavaliere come un nemico a tutto tondo, col quale ci si può solo scontrare: al punto che una volta Berlusconi per offenderla disse che era «più bella che intelligente». Ma la ex ministra l’ha sempre considerata una sorta di medaglia al valore dell’antiberlusconismo. È vero che è in atto una risacca, eppure nessuno sa prevedere quale sarà il punto di caduta finale: a cominciare proprio dal Quirinale. Lì, Bindi intravede un Mario Draghi favorito, se qualcuno lo candiderà. Sebbene pochi mesi fa gli abbia rimproverato di parlare poco di mafia, ritiene che «in Europa il dopo-Merkel, grande donna, sia lui. I franchi tiratori contro Draghi non oso neanche immaginarli. Oh, i matti ci sono. Ma replicare i 101 voti contro Romano Prodi anche con Draghi sarebbe da irresponsabili». Sempre che non spunti «un clone» di Mattarella.