Corriere della Sera, 20 novembre 2021
Michele Merlo poteva essere salvato
Con una «diagnosi tempestiva» forse poteva essere salvato. L’indagine sulla morte per leucemia fulminante del cantante di «Amici» Michele Merlo, 28 anni, si sposta dai medici di Bologna a quelli di Vicenza.
D omenico, il papà di Michele Merlo, scuote la testa. «Sulla sua tomba i fan lasciano bigliettini, perfino regali. Tutto questo ci aiuta a sopportare il dolore, per carità. Ma non basta: ci serve la verità».
I genitori di Mike Bird, nome d’arte dell’ex concorrente di X Factor e Amici, aspettano risposte dalla sera del 6 giugno, quando il cantautore morì all’ospedale Maggiore di Bologna per l’emorragia cerebrale provocata da una leucemia fulminante.
La Procura felsinea ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo, disposto l’autopsia e incaricato due periti – il professor Antonio Cuneo e il dottor Matteo Tudini – di stabilire se potevano esserci delle responsabilità. I dubbi li aveva denunciati la famiglia, perché il 28enne stava male da giorni e il 2 giugno si era presentato all’ospedale di Vergato (nel Bolognese) ma era stato rispedito a casa con la diagnosi di faringite e la prescrizione di un antibiotico. La sera successiva a casa della fidanzata erano iniziate le convulsioni. L’arrivo dell’ambulanza e il ricovero all’ospedale non erano bastati a salvarlo.
Ora la Procura di Bologna sta per trasferire l’inchiesta – ancora senza indagati – ai magistrati di Vicenza. E questo, proprio per le conclusioni dei periti: quando Merlo si presentò a Vergato, anche se i medici avessero intuito i segnali della leucemia, per lui era già troppo tardi. Non si poteva salvare, e quindi la morte non è imputabile ai dottori bolognesi.
I sospetti, si spostano altrove. «Il 26 maggio Michele stava già male – sostiene il padre – e si presentò al Pronto soccorso di Cittadella con dolori e uno strano ematoma alla gamba. Ma tre ore dopo il triage, era ancora in attesa. Così, scocciato, andò via». Da casa, spedì un’email allo studio del medico di famiglia di Rosà (in provincia di Vicenza, dove il giovane abitava) allegando la foto dell’ematoma. «Ma dallo studio associato lo richiamarono rimproverandolo per aver spedito l’immagine. Allora mio figlio si presentò di persona e fu ricevuto da qualcuno, quasi certamente non il suo medico, che si limitò a massaggiargli la gamba con una pomata».
È proprio a Rosà e Cittadella che si concentreranno le indagini. Perché la perizia parla chiaro: se entro il 27 giugno Merlo fosse stato sottoposto a esami del sangue, sarebbero emersi i segnali di una emopatia acuta che avrebbe comportato il ricovero e l’inizio di una terapia adeguata. Fosse andata così, concludono gli esperti, le probabilità di sopravvivenza sarebbero state tra il 79 e l’87 per cento.
«La speranza – dice il legale della famiglia, Marco Dal Ben – è che ora si arrivi rapidamente a individuare i responsabili». Papà Domenico allarga le braccia: «Sono deluso, comincio a perdere fiducia nella giustizia. Spero che i pm di Bologna indaghino comunque sul comportamento di due medici: quello di Vergato che non volle visitarlo e quello del 118 intervenuto a casa della fidanzata di Michele. Ero al telefono con lei, lo sentivo chiederle quanta droga avessero assunto. Pareva fuori controllo. E perse minuti preziosi».