la Repubblica, 20 novembre 2021
Il realismo rassegnato di Gualtieri
“Dio bbenedetto” ci voleva il Realismo Rassegnato der novo sindaco umanista Roberto Gualtieri per capire finalmente che a Roma da una malattia vera si può guarire, ma da quella finta no. E che dunque forse, chissà, contro gli infingardi della monnezza, era necessaria un’invenzione, per metà scienza e per metà stravaganza: la corruzione onesta. C’è insomma una geniale malinconia alla romana nella decisione di pagare i netturbini che non si ammaleranno, una volta stabilito che è inutile mandare i medici fiscali perché a difesa del non-lavoro c’è poi il certificato patacca, e nulla è più doloroso e contagioso di una malattia finta. La vana cura dell’inguaribile malessere simulato inasprisce pure la lotta sindacale con “l’inoltro formale per le correlate verifiche”, “l’equo indennizzo”, “la causa di servizio”: gli ammalati di comodo hanno un agente patogeno espertissimo in sindacalese.
Ecco perché Roberto Gualtieri ha messo, si dice a Trastevere, “sottosopra er vicinato” e, invece di punire chi commette il male, premierà chi non lo commette, anche se rischia che gli arrivi il conto di chi si ferma col rosso, di chi non salta la fila e forse a pagamento si moltiplicheranno pure i pochi che in metro si alzano per far posto agli anziani e alla signore: “le dispiace, nonnetta, firmarmi la ricevuta del benfatto?”
Il primo comandamento del Realismo Rassegnato è: trattare la normalità come una virtù. E hai voglia di pagare – figuriamoci – nella Roma del degrado, dei tavolini abusivi, dei mercati illegali, delle auto in tripla fila, dei bagni dentro le fontane e dei finti gladiatori stalker. Di sicuro l’idea degli incentivi per smettere è per Roma molto più adatta della Colonna Infame manzoniana o dell’esibizione a mezz’aria de li disgraziati (i pizzardoni svogliati, per esempio) che venivano legati come salami dai birri pontifici ai tempi del Caravaggio.
È sempre attualissima la mala aria della città eterna, ma è nuova la soluzione che, attenzione, non è una trovata estemporanea come sembra, e davvero può lasciare “l’impronta ne la storia”. Non fatevi ingannare dalle apparenze, e non solo di Gualtieri, di cui sappiamo che è un secchione che ha studiato tutto, e dunque non coltiva la seduzione per incantamento dei leader populisti dei tempi della Raggi che erano asini saputi. Alla fine non si sa se l’idea di rovesciare Foucault da “Sorvegliare e punire” a “Sorvegliare e premiare” sia da attribuire al sindaco oppure all’altro ex ministro, Angelo Piazza, avvocato bolognese nominato amministratore unico pro tempore dell’Ama, ex socialista, professore universitario, anche lui sempre presente ai compleanni intellettuali di Goffredo Bettini, e pure all’ultimo del 5 novembre scorso. Bisogna dirlo che quella festa fu una specie di Congresso di Vienna sul futuro dell’Italia e dunque anche di Roma, anche se non esiste un testo scritto del “patto della lasagna”. L’avessero fatto a Milano il convivio di lasagne, polpette, pasta e ceci e verdura ripassata (in onore di Giuseppe Conte), invece del Realismo Rassegnato di Gualtieri sarebbe venuta fuori la sinistra dei tagliatori di teste, degli accorpatori, dei privatizzatori, dei manager dei conti con la volontà velleitaria di esporre i finti malati alla vergogna del licenziamento con le orecchie d’asino e le terga denudate.
Ma a Roma il liberismo non passa, prende immancabilmente l’odore di minestrone che è tipico di ogni pasticciaccio, e va sempre a finire che il Giorno der giudizzio non viene mai per i finti malati e per il tribalismo dei mestieri organizzati come cosche, ma per l’illuso sindaco di turno, l’amministratore, il prefetto di ferro, il commissario d’acciaio: “io sottoscritto… e andando avanti con il rincrescimento, con il pentimento, con l’apprezzamento, con le lodi all’offeso, mangiando sale e cantando il Confiteor“.
Ecco perché contro la spazzatura più tenace del mondo, la sinistra di Bettini – ahò semo romani – ha scoperto la Corruzione onesta che, introdotta solo ora nella politica italiana, è in realtà un’inesplorata teoria della filosofia urbanistica. Yona Friedman la inventò nel lontano 1975 per incentivare i servizi burocratici, le licenze edilizie, gli appalti, persino le leggi (“Utopie realizzabili”, Quodlibet) «a condizione – scriveva – che i servizi pubblici operino all’interno di piccoli gruppi, come i quartieri». E infatti Piazza ha spezzettato l’Ama in 15 minuscole Ama, una per ogni municipio, creando le Piccole Patrie della Monnezza, alle quali, secondo Friedman, «è necessario riconoscere il ruolo politico di villaggi urbani».
Davvero dunque non è tutta bislacca come sembra la medicina del premiare per non punire, visto che nessuna sanzione e nessun divieto potrebbero imporre agli spazzini di lavorare: “Voglia de lavorà sartame addosso”. Vedremo se la corruzione onesta di Gualtieri agirà sui finti malati come il medicamento del dottor Dulcamara di Donizetti: “l’odontalgico mirabile liquore/dei topi e delle cimici possente distruttore”.