La Stampa, 20 novembre 2021
Intervista a Jannik Sinner
Jannik, contro Medvedev ha caricato il pubblico, come non avrebbe mai fatto qualche mese fa. Un nuovo Sinner?
«Ho passato anno in più sul circuito, ho capito che sfruttare il tifo del pubblico, specie in casa, non è mancanza di rispetto, ma una carta in più da giocare al momento giusto. In campo sento anch’io la pressione e le emozioni, anche se non sempre si vedono».
Quanto è diverso dal Sinner che nel 2019 vinse le Next Gen Finals?
«Sono cresciuto sia come tennista sia come persona. Con il mio team il rapporto è lo stesso, ma ora se c’è qualcosa che non mi va, lo dico».
Le Finals erano l’obiettivo di quest’anno?
«Mi avvicinavo e mi allontanavo. Non volevo che diventassero un’ossessione ma direi una bugia se dicessi che non ci pensavo. Matteo è stato molto sfortunato, ma sarei entrato comunque per il ritiro di Tsitsipas».
L’ingresso in campo all’esordio è stato il momento più emozionante?
«Sei nel tunnel, vedi le luci, senti la musica fortissima, il pavimento che vibra… Ho avuto i brividi. Poi però tutto passa e ti concentri sul match».
Quando ha capito che avrebbe giocato?
«Con Matteo ci siamo incrociati ma non avevo il coraggio di chiedergli come stava. Poi mi è arrivato il suo bellissimo messaggio: «scaldati, in bocca al lupo, e divertiti». Mi ha dato una spinta in più. In campo serve un mix fra divertimento e concentrazione per dare il meglio».
Hurkacz è un suo amico…
«Il più caro che ho nel circuito. Mi ha accolto dicendomi che era contento di vedermi qui. Sono cose che valgono più di una vittoria».
Come si spiega la Sinnermania?
«È strano anche per me. Forse la gente vede la mia passione, l’impegno che ci metto. Capisce che anche quando le cose si mettono male cerco sempre si trovare una soluzione. Come con Medvedev, se non cambiavo qualcosa dopo il 6-0 sarebbe finito tutto in 40 minuti, dovevo cambiare qualcosa. Per quello devi lavorare tanto. Non è solo tennis, è la voglia di migliorarsi e crescere ogni giorno».
Andrea Gaudenzi, presidente Atp, vede in lei il Tomba o il Valentino Rossi del tennis. Lei chi dei due preferisce?
«Se devo scegliere, dico Tomba, perché anch’io sciavo, ma mi piace anche la Moto Gp, adoro la velocità. Si parla di atleti con una personalità enorme, che sanno andare oltre lo sport. Io ho solo vent’anni, non mi metto fretta. Anche se il sogno è diventare numero 1».
Vive a Monte Carlo, si allena con tanti campioni. Chi è il suo riferimento?
«Ho sempre ammirato Federer, Nadal e Djokovic, quando ero più piccolo Seppi, ma la verità è che cerchi di prendere dei ‘pezzi’ da ciascuno».
Lei sta meglio da solo o in compagnia?
«La compagnia serve. Dopo aver perso con Medvedev avevo voglia di stare con i miei amici, mio fratello (Mark, che l’anno prossimo sarà più presente al suo fianco, ndr), la mia famiglia. Sono quelli che ti aiutano a dimenticare in fretta le delusioni».
Da casa è andato via a 13 anni…
«Non è stato facile, soprattutto lasciare la famiglia, gli amici. Mi tengo in contatto con loro giocando a Fortnite con loro la sera. Ma senza fare troppo tardi…».
I sacrifici le costano?
«No, perché so di fare una vita che in tanti solo si sognano».
I momenti peggiori di quest’anno?
«Quando ho capito che non riuscivo a qualificarmi per le Finals, o dopo Stoccolma quando sono uscito dai primi 10. Ho pianto da solo in camera. Se fallisci i tuoi obiettivi è dura, per fortuna sono riuscito a recuperare. Avere la chance di rifarsi è stato un sogno. E bisogna sempre sognare».
Quel ciuffo lo ha sempre avuto?
«Vado a tagliarmi i capelli sempre nello stesso posto, a Bordighera. Sono tutte donne, la mia parrucchiera di fiducia si chiama Lara, è rossa come me e sa domare i miei capelli: le assicuro che non è facile. Parliamo spesso di macchine perché lei è un’appassionata».
Lei cosa guida?
«Ho comprato la Mercedes CL station wagon di mio padre. Voleva venderla, ma non gliela valutavano molto, l’ho aiutato. Mi piaceva l’Audi RS, ma la verità è che la macchina non la uso tanto, meglio noleggiarla quando serve».
Però le piacciono le corse…
«Sì, la Formula 1. Da italiano tifo Ferrari, sono amico di Giovinazzi e mi è capito di parlare con Leclerc. Anche Verstappen e Hamilton sono fortissimi. Prima di iniziare la preparazione della prossima stagione mi concederò cinque giorni di vacanza: andrò a sciare, perché ne ho bisogno e mi fa bene. E un giorno a correre in pista».
Da sciatore assomigliava a Tomba?
«No... Anche se le mie specialità erano lo slalom e il gigante. Una volta ho provato il Super G, andare a oltre 100 all’ora un po’ mi ha messo paura».
Lei ha vent’anni. È preoccupato per il futuro come Greta Thunberg e i suoi coetanei?
«Il mondo sta cambiando, la preoccupazione c’è. Io sono molto assorbito dalla mia professione ma ho deciso di occuparmi del disagio mentale dei giovani con il mio progetto «What’s Kept You Moving», credo che il Covid abbia creato molti problemi».
In Davis senza Berrettini sentirà più responsabilità?
«Mi spiace molto per Matteo, spero che possa riprendere al meglio per l’Australia. Siamo una squadra unita e motivata, questa è la nostra forza, ci divideremo le responsabilità. Non credo tante altre nazioni abbiano un gruppo forte come il nostro. Vogliamo fare bene e giochiamo in casa, il pubblico ci aiuterà» —