La Stampa, 20 novembre 2021
Il vaso di coccio
Ormai trattiamo i bambini come vasi Ming, che appena li tocchi li frantumi – dice Gilberto Corbellini, docente di Storia della medicina alla Sapienza. Oggi, dice, li vediamo sani e robusti e siamo terrorizzati dai danni eventuali dei vaccini, e per paradosso dimentichiamo che è proprio grazie ai vaccini se è scomparsa la mortalità infantile, e più in generale ai progressi della scienza. Ci fu un tempo in cui i bambini erano usati come cavie: l’inventore del vaccino, Edward Jenner, più di due secoli fa testò quello con cui avrebbe sconfitto il vaiolo sul figlio del giardiniere. Spesso si usavano gli ospiti degli orfanotrofi ma la vita dei bambini, quella fra Settecento e Ottocento, raccontata da Charles Dickens e da Victor Hugo, non valeva nulla. Venivano abbandonati o venduti dalle famiglie, che di figli ne avevano a carrettate, se sopravvivevano. A quattro, cinque anni facevano gli spazzacamini devastandosi i polmoni per una zuppa d’avena, a sei o sette lavoravano sessanta ore a settimana in miniera, le bambine cucivano e ricamavano per quindici ore al giorno, spesso a dodici anni erano introdotte alla prostituzione, molti se la cavavano ruabacchiando sui marciapiedi. Jean Bernard, medico francese del Novecento, celebre per gli studi sulla leucemia, disse che i bambini hanno cominciato a essere un valore, non solo economico, quando hanno smesso di morire. Allora la loro vita è diventata preziosa, anzi inestimabile più di un vaso Ming. Non sempre però. Giovedì un bambino siriano di un anno è morto di freddo sul confine polacco. Ci sono ancora bambini che non valgono niente e continuano a morire.