Il Messaggero, 20 novembre 2021
Intervista a Reinhold Messner
Alpinista ed esploratore, certo. E poi scrittore, ex parlamentare europeo, negli ultimi anni anche imprenditore culturale e regista. Ormai Reinhold Messner, 77 anni, cresciuto nella valle dolomitica di Funes e residente tra il castello di Juval in Val Venosta e Merano, è il simbolo e il volto più noto nel mondo dell’Alto Adige-Sudtirolo.
Messner, lei si è vaccinato?
«Certamente. Durante il primo lockdown, anche a causa dell’età, ho avuto paura. Ho scelto di isolarmi nel modo più assoluto. Quest’anno mi sono vaccinato appena ho potuto. Senza esitazioni. Non ho mai capito né capisco l’opposizione all’unica arma che abbiamo contro questo virus».
Ha avuto paura, lei che ha rischiato di perdere la vita sulle Dolomiti, sull’Everest e anche in Antartide?
«Sì, in quei giorni, è stato molto difficile fermarsi. Per tutti e non solo per chi, come me, non è più giovanissimo. La paura di morire c’è stata. Aspettavo una protezione che mi permettesse di tornare a vivere all’aria aperta, a lavorare».
Quindi, ha già fatto anche la terza dose?
«Sì, da pochi giorni. È stato un evento pubblico, con telecamere e giornalisti. Spero di aver convinto molte persone a fare come me. Soprattutto da queste parti».
I dati sulle vaccinazioni in provincia di Bolzano, in effetti, sono molto preoccupanti. Secondo lei, c’entrano le vecchie ruggini tra la popolazione di madrelingua tedesca e l’Italia?
«No, non credo. Un secolo fa l’Italia ha occupato il Sudtirolo, lo ha trasformato nell’Alto Adige, ha vietato di parlare il tedesco e ha imposto una lingua che nessuno, allora, capiva. La Storia non c’entra con la situazione di oggi. Va detto, però, che i dati sulle vaccinazioni da noi sono sovrapponibili a quelli della Germania e dell’Austria. E non a quelli dell’Italia. Un quadro che ci fa riflettere».
In quali zone della sua terra i No vax sono più forti?
«In quelle contadine e nelle valli alpine. Dove abitano quasi esclusivamente persone di madrelingua tedesca. Noi abbiamo solo una vera città, Bolzano, e poche cittadine come Merano, Bressanone e Brunico. La maggioranza della popolazione vive nei piccoli o piccolissimi centri».
C’è anche un uso politico dell’opposizione ai vaccini?
«Sì, lo vediamo dalle posizioni degli Schuetzen, le milizie tradizionali che sfilano durante le feste e si sentono i custodi dell’identità sudtirolese. Hanno attaccato in maniera durissima il presidente della provincia Arno Kompatscher che esorta e esortava a vaccinarsi e hanno invitato alla ribellione sanitaria».
Lei ha amici in entrambi i gruppi, italiano e tedesco, dell’Alto Adige. I loro comportamenti nei confronti dei vaccini sono molto differenti?
«Gli italiani sono scettici, ma se li convinci ti seguono e si danno da fare. Ricordiamoci che quando l’Italia ha vietato il fumo nei locali pubblici ha dato un esempio all’Europa. In materia di vaccinazione è successo lo stesso».
I popoli di lingua tedesca, invece?
«Il loro no al vaccino ha le stesse motivazioni avanzate dagli italiani o i francesi. Ma, in alcune situazioni, come questa, possono rifiutarsi in modo duro, profondo, irriducibile. È difficile convincerli e, in qualche caso, possono diventare anche violenti».
In un italiano, queste sue parole evocano paure lontane e, magari, le favole gotiche tedesche dei fratelli Grimm...
«Sono un uomo razionale, e di queste cose non parlo ma la durezza della rivolta c’è».
Lei con i suoi musei dedicati alla montagna è anche un imprenditore del turismo: quanto ha pesato il Covid da marzo del 2020?
«Il primo anno è stato durissimo, nella scorsa estate siamo quasi tornati al livello pre-pandemia. E lo stesso è accaduto per alberghi, agriturismi e ristoranti. Sarebbe un dramma fermarsi di nuovo».
La stagione sciistica dell’Alto Adige, con questi numeri sulle vaccinazioni, potrebbe arrestarsi prima di iniziare? Perché i No vax non si interessano all’economia della loro terra?
«È un problema di egoismo che può costare il posto di lavoro a chi si è fatto vaccinare. Un problema di egoismo anche nei confronti della propria comunità. Sono molto preoccupato un altro inverno senza sci e senza turismo per la mia terra e la mia gente sarebbe una vera tragedia».