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 2021  novembre 20 Sabato calendario

Deforestazione da record nell’Amazzonia di Bolsonaro


Gli Yanomami, una delle più note etnie che popolano l’Amazzonia, quando vogliono conoscere le cose, cercano di vederle sognando. È questo il loro modo di studiare. Molto spesso, anzi quasi sempre, hanno anticipato i report dei think tank. L’ultima rilevazione, rilasciata poche ore fa, registra dati sconfortanti: la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è aumentata di quasi il 22% tra agosto 2020 e luglio 2021, rispetto al periodo precedente, stabilendo un record negli ultimi 15 anni.
Il disboscamento nella foresta pluviale più grande del mondo ha totalizzato 13.235 km2 nel periodo 2020-2021, il valore più alto dal 2005-2006 (14.286 km2), secondo i dati del sistema di monitoraggio della deforestazione Prodes dell’Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale (Inpe) del Brasile. L’area disboscata in un anno, per dare un’idea, equivale alla superficie della Regione Campania.
L’aumento della deforestazione della regione amazzonica è uno dei 15 “punti di non ritorno”, identificati dagli scienziati. Alcuni studi rivelano che vi sono dei “punti di non ritorno”, i casi più drammatici per il pianeta. Uno di questi è lo scioglimento dei ghiacci della Groenlandia. Per quanto riguarda l’Amazzonia il punto di non ritorno, identifica in una deforestazione comprese tra il 20% e il 23%. Ebbene, questi ultimi dati (22%),centrano il lugubre obiettivo.
L’Inpe lancia dunque un’allerta che le tribù amazzoniche avevano già denunciato come “savanizzazione”: la distruzione provoca una diminuzione delle piogge e un allungamento della stagione secca, con un sensibile rialzo delle temperature.
Il picco – mai si era avuta tanta superficie deforestata dal 2006 – si scontra con i recenti tentativi del governo Bolsonaro di rilanciare la sua scarsa credibilità ambientale, ovvero le aperture mostrate all’amministrazione degli Stati Uniti, Joe Biden, e l’impegno a combattere la deforestazione illegale.
In tre anni scomparse foreste per una superficie più grande del Belgio. Il rapporto dell’agenzia spaziale, pubblicato giovedì, è datato 27 ottobre, prima dell’inizio dei colloqui a Glasgow. L’Amazzonia brasiliana non aveva registrato neppure un anno con più di 10.000 chilometri quadrati di deforestazione in oltre un decennio prima dell’inizio del mandato di Jair Bolsonaro. Tra il 2009 e il 2018 la media è stata di 6.500 chilometri quadrati. Da allora, la media annuale è balzata a 11.405 chilometri quadrati e il totale di tre anni è un’area più grande del Belgio.
La conferenza Cop26, terminata pochi giorni fa a Glasgow, ha ribadito le cause della deforestazione: la produzione di materie prime come carne di manzo, soia, olio di palma e cacao. Ventotto Paesi, tra cui il Regno Unito, che rappresentano il 75% del commercio globale di prodotti che minacciano la distruzione delle foreste si sono uniti attraverso la Roadmap Fact (Forest, Agricolture and commodity trade), un’entità che creata alla Cop26 mirata a favorire un commercio sostenibile e ridurre la pressione sulle foreste. Davi Kopenawa, sciamano amazzonico, ha dialogato con un Bruce Albert, antropologo, che ne ha scritto il libro “La caduta del cielo” edito da “Nottetempo” nel 2018. Queste poche parole di Kopenawa, consegnate ad Albert, costituiscono la sintesi più efficace: «Hai disegnato e fissate delle parole su pelli di carta (quaderni, ndr) come ti ho chiesto. Sono andate lontano da me. Ora vorrei che si propagassero in ogni dove per essere veramente ascoltate». Chissà, forse è troppo tardi.