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 2021  novembre 19 Venerdì calendario

LA "MORALITÀ" DI COSA NOSTRA E' SOLO NELLE MUTANDE - TOMMASO BUSCETTA RIVELO' CHE IN COSA NOSTRA NON SI ENTRAVA DA DIVORZIATI O FIGLI DI DIVORZIATI, NÉ C'ERA POSTO PER CHI FREQUENTAVA PROSTITUTE, AVEVA "AMANTI" O ERA OMOSESSUALE - IL SESSO È SEMPRE STATO UN TABÙ PER I MAFIOSI: LA MONOGAMIA ERA UN DOVERE MORALE E CHI AVEVA AMANTI VENIVA PUNITO - MORTE SICURA PER CHI TOCCAVA LA DONNA DI UN DETENUTO - UNA DONNA FEDIFRAGA VENIVA CONDANNATA A MORTE DALLA SUA STESSA FAMIGLIA… -

Palermo, novembre 1993. Totò Riina è seduto nella gabbia dell'aula bunker dell'Ucciardone. Il presidente della corte ha appena accolto la richiesta di quello che si prefigura come un confronto epico: quello tra l'ex capo dei capi di Cosa nostra, arrestato pochi mesi prima, e il più importante pentito di mafia, quel Tommaso Buscetta cui Riina ha massacrato la famiglia.

Riina ha uno scatto. Si agita, chiede la parola. E a sorpresa, dopo averlo richiesto, rifiuta il confronto. «Non è un uomo adatto a me», dice. «Non è della mia statura, è un uomo che ha troppe amanti». Per capire come la regola monogamica sia sempre stata il pilastro di quella mafiosa - l'ossatura su cui costruire la catena di vincoli che strozzano la vita di ogni affiliato e ogni territorio - non si può che partire da qui. Dal momento in cui l'uomo che diede l'ordine di uccidere Falcone e Borsellino decide di accusare chi lo accusa non di essere un ciarlatano, un golpista, o un assassino (e poteva dirlo: Buscetta aveva ucciso). No, l'accusa è quella di essere un uomo «con troppe mogli».

LA «MORALITÀ» DA BOSS Per qualche strana ragione, dovuta soprattutto alle rappresentazioni americane delle organizzazioni criminali, è pensiero comune che i boss siano uomini dissoluti, donnaioli. Eppure nelle organizzazioni criminali italiane la monogamia è ancora l'elemento fondante per misurare valore e affidabilità degli affiliati: ogni violazione basta per decretare una condanna a morte.

A rivelare le regole è stato lo stesso Buscetta: in Cosa nostra non si entra da divorziati o figli di divorziati, né c'è posto per chi frequenta prostitute, ha «amanti», è stato iscritto al partito fascista o al Pci, fa uso di droghe, è omosessuale. Per questo, davanti ai giudici esterrefatti, Riina parla con voce ferma della sua «moralità»: «E parto», dice, «dalla mia famiglia. Mio nonno è rimasto vedovo a 40 anni e aveva cinque figli con papà, e non ha cercato più moglie. Mia madre è rimasta vedova a 33 anni. Noi viviamo, nel nostro paese, di correttezza morale».

(Il confronto, poi, prima di bloccarsi per via di Totò u Curtu ebbe un breve svolgimento e Buscetta disse a Riina: «Quest' individuo può parlare di moralità quando ha ucciso tanta gente innocente. Dov' è la tua moralità, Riina? Perché sono andato a letto con tua moglie? Io lo so perché. Tu eri troppo preso a seguire le tue cose mafiose... a diventare la star di Cosa Nostra, quindi non ti preoccupasti delle donne...»).

La regola monogamica assoluta non è limitata solo a Cosa nostra. Il boss Paolo Di Lauro decretò, per l'organizzazione camorristica secondiglianese, vincoli chiari. Non ci si uccide per soldi: quando ci sono problemi economici si convoca una riunione tra vertici e si prova a negoziare. Non ci si uccide se c'è un conflitto territoriale con un'altra famiglia, a meno che non sia stata l'intera camera formata dai vari boss a dare l'autorizzazione. Per la camorra secondiglianese riformata da Di Lauro in un caso si può uccidere senza chiedere permesso: uno solo.

Quando un uomo ha una relazione fuori dal suo legame, e corteggia la donna di un altro affiliato. In quel caso l'esecuzione è lecita, con la sola clausola di portare delle prove. La regola della monogamia In tutte le organizzazioni mafiose è persino il corteggiamento ad essere vietato. Nel 2001, nel Casertano, Domenico Bidognetti ordina l'eliminazione di Antonio Magliulo perché aveva osato corteggiare una ragazza nonostante fosse sposato: lo fa legare su una sedia, in spiaggia, e dinanzi al mare gli fa riempire bocca e narici di sabbia, fino a strozzarlo. Gaetano Formicola, all'epoca 21enne, scopre che un suo amico, Vincenzo Amendola, ha iniziato a inviare a sua madre messaggi che vengono considerati come avances.

L'idea che la madre possa avere una «sessualità» è intollerabile, come lo è il pensiero che il padre, carcerato, possa venirlo a sapere. Attira Vincenzo in campagna, lo fa inginocchiare, gli spara in testa. È la fame mafiosa di possesso a determinare la necessità di una regola monogamica priva di eccezioni. E in una società dove la morale sessuale ha fatto progressi minimi (come racconta quel piccolo capolavoro intitolato Ancora Bigotti. Gli italiani e la morale sessuale, di Edoardo Lombardi Vallauri, pubblicato da Einaudi), le mafie usano i comportamenti sessuali dei loro obiettivi per delegittimarli.

Sanno che se la nostra vita sessuale è resa pubblica ci espone alla derisione. Qualsiasi vita sessuale, anche la più ordinaria, resa pubblica, appare grottesca. Per questo, nelle organizzazioni criminali, prima di arrivare alle pistole si delegittima; quando si deve agire contro qualcuno, la prima cosa che si usa è l'insinuazione, prima scherzosa e poi più pesante, il sospetto di tradimento, della violazione della monogamia. Alcune organizzazioni decidono di eliminare chi ha «tradito»; altre fanno fuori entrambi gli «amanti».

La decisione è presa in base al caso specifico: si uccide la donna quando «poi se ne sceglierebbe un altro» (sono parole di Marchese, boss di Cosa nostra); si uccide solo il «traditore» maschio quando si pensa di poter così interrompere la «vergogna» dando una lezione di morale al territorio ma salvando la moglie, la figlia, la sorella. In ogni caso, aleggia una sorta di solidarietà criminale, tra tutte le famiglie, che fa eliminare gli «amanti» di mogli e fidanzate degli affiliati in carcere. Chi tocca una donna che ha il compagno detenuto deve morire: pena il rischio che tutti i carcerati diventino «cornuti».

È successo a Rocco Anello, capo della 'ndrina di Filadelfia, in provincia di Vibo Valentia. Sua moglie, Angela Bartucca, rimasta sola in giovane età col marito in carcere, ebbe una storia con Santino Panzarella. Quando gli uomini del clan se ne accorsero lo pestarono a sangue e lo chiusero nel bagagliaio di un'auto in attesa di liberarsi del corpo. Ma lui era ancora vivo, quando riaprirono il cofano allungò una gamba per evitare che richiudessero: gliela spezzarono sbattendoci contro il portellone e gli spararono in faccia. Era il 2002, Santino aveva 27 anni.

Bartucca ebbe un'altra storia con Valentino Galati, ex seminarista. Quando fu scoperto Galati scrisse ad Anello: «So che questi errori si pagano con la morte, venga a uccidermi perché so che sarà questa la vostra decisione». Ancora: pochi mesi fa Antonio Abbinante, boss dell'omonimo clan di Scampia, aveva già scavato la fossa dove seppellire un uomo, poi salvato dagli inquirenti, che aveva avuto una relazione con la moglie di un recluso. E Maria Buttone, moglie del boss di Marcianise Domenico Belforte, lo costrinse a uccidere Angela Gentile, con cui aveva intrecciato anni prima una storia.

Da questa donna Belforte aveva avuto una bambina, 13enne all'epoca dell'omicidio: la Buttone la accolse in casa, ma la madre della ragazza doveva sparire, per lavare il nome della famiglia. La «questione di genere» Come tutte le morali repressive, negli uomini la violazione della monogamia è maggiormente tollerata. A due condizioni: che il tradimento avvenga in assoluta segretezza e che si rimanga incasellati nei ruoli tradizionali di maschile e femminile. Ferdinando Caristena, commerciante di 33 anni di Gioia Tauro, aveva iniziato una relazione con la sorella del cognato del boss Mimmo Molè.

Tutto procedeva bene: ma prima delle nozze emerse che, in passato, Caristena aveva avuto relazioni anche con uomini. Fu lui stesso ad ammetterlo con i suoi assassini: fu ucciso nel maggio 1990. Sul «tradimento» femminile si articola il potere di vendetta e intimidazione di un cartello. Angela Costantino aveva 25 anni e 4 bambini. Il marito 'ndranghetista Pietro Lo Giudice era nel supercarcere di Palmi: è destinato a rimanerci anni. Lei inizia a frequentare un uomo. Non vuole lasciare il marito: cerca solo passione, tenerezza. Quando i parenti del marito la scoprono viene strangolata.

Era il '94, il corpo fu fatto sparire. Rosalia Pipitone, ventenne, moglie e madre, fu uccisa durante una rapina nel 1983, a Palermo. Anni dopo un pentito, Francesco di Carlo, spiegò che la rapina era una copertura: era Lia - «nata per la libertà, morta per la sua libertà» - il vero obiettivo. Quando Ciccio Madonia convocò il padre mafioso di Lia, Nino Pipitone, dichiarandogli la necessità di uccidere la figlia, «colpevole» di tradimento, fu lo stesso genitore della ragazza a convocare l'uomo che avrebbe portato a termine l'esecuzione.

Il giorno dopo verrà inscenato il suicidio dell'«amante» di Lia, scaraventato dal balcone. E ancora: Giuseppe Lucchese fece uccidere nel '84 la cognata, nel bar Alba di Palermo, perché «si lasciava corteggiare» mentre il marito Antonio era in cella. Nel 1982 aveva ucciso la sorella, Pina, perché seppur sposata aveva una relazione con un cantante neomelodico, Giuseppe Marchese, che fu incaprettato. Non deve stupire che spesso a decretare la condanna sia la famiglia della donna «fedifraga»: ordinare la morte del proprio congiunto significa intestarsi la pulizia e mostrare che nulla è perdonato a chi viola il codice d'onore.

Come avvenuto nel '95 ad Alessandro Alleruzzo, figlio del boss Santo detto «a' vipera», che guidava il gruppo di Paternò di Cosa nostra. La sorella Nunzia, lasciato il marito, aveva deciso di non avere una nuova relazione esclusiva. Alleruzzo la portò in campagna, la rimproverò per essere uscita con uomini diversi; poi - mentre era di spalle, non riuscendo a sostenerne lo sguardo - le sparò in testa. Alcune donne, in queste dinamiche di terrore, scelgono di farsi carnefici prima di diventare vittime: alla fine degli anni 80 il camorrista Nicola Nuzzo fu ucciso a martellate in una clinica romana su ordine della moglie, Carmela Frezza De Rosa.

Nuzzo aveva scoperto che lei aveva una relazione con il medico di famiglia: la donna temeva la vendetta su di sé e i figli. L'«onore» camorristico della famiglia fu vendicato dal fratello di Nuzzo, Raffaele, che fece uccidere il medico. Sono comportamenti estremi, certo. Ma la premessa per l'esistenza di una morale mafiosa è la capillarità di una morale repressiva - «ancora bigotta» - nella società.



Una morale per cui il sesso è male, va praticato in circostanze limitate, riscattato col sentimento dentro un impegno monogamico. Se le mafie sono strutturate sempre intorno all'ossessione monogamica, se i boss sentono il proprio potere vacillare quando la monogamia è violata, allora scegliere la vita, la sessualità libera dai vincoli, un corpo non assoggettato dalla morsa della convenzione è un atto antimafia. Anzi è l'atto antimafia.