Corriere della Sera, 19 novembre 2021
Intervista a Marracash
Non è un genere per ragazzini. Non più o non solo. Ego trip, ostentazione di Lamborghini e Gucci, nuvole di canne e soldi facili. C’è qualcuno che prova a portare il rap oltre, verso il terreno della maturità. Dopo un disco su una crisi esistenziale profonda come «Persona», l’album più ascoltato/venduto del 2020, Marracash alza ancora l’asticella con il nuovo «Noi, loro, gli altri» (esce oggi, con i feat di Guè, Calcutta e Blanco). «Il rap è un genere per tutti ormai. A 42 anni sarei ridicolo portare avanti un discorso teen – dice il king del rap —. In questa congiuntura c’è spazio per dire delle cose. Se i podcast di Barbero sono i più ascoltati, significa che la gente non è così becera e superficiale».
E nella musica?
«Nel rap si parla di strada senza allontanarsi dai cliché. Nell’indie del farsi una birretta con gli amici. Nessuno solleva mai nulla, ma ditela una cosa... Quanti cantanti oggi di fatto fanno i testimonial di marchi? Ci sta, ma è un altro lavoro. Pochi fanno musica per avere un effetto sulla realtà. La mia scommessa è quella. Voglio avere un approccio artistico, e allo stesso tempo essere pop. Come lo è Vasco, per me il Pascoli del 900, che ha riferimenti alti in cui però tutti possono riconoscersi. O come il cinema di Fellini, Fulci e Antonioni che ho visto in pandemia».
Il titolo del disco?
«Racconta il momento: siamo una società frammentata, divisa in squadre e fazioni, ognuna con la sua verità. Si rivendica il diritto all’identità, e nei casi di quella sessuale ad esempio lo trovo giustissimo, e allo stesso tempo si perde la visione d’insieme».
È visione d’insieme mettere le parole «differenza sociale» in una rima?
«Sarò démodé, ma il tema sta tornando, vedi un film come Parasite o una serie come Squid Game che ci mostra quanto ognuno di noi sia solo un numero. Tornerà a bussare una coscienza collettiva. Questa cosa c’è nei giovani della Gen Z che sono puliti e consapevoli, si impegnano per il clima o per i diritti civili».
In «Pagliaccio», costruita attorno al campionamento dell’aria lirica di Leoncavallo, però sembra distruggere i giovani rapper...
«Più che altro me la prendo con l’abuso dei cliché della strada. Dopo il covid più che di ostentare è il momento di farsi due domande».
Lei se le è fatte?
«La chiave di questo disco è la trasparenza. Ci sono pezzi classicamente rap, ma mi sono scavato dentro. È stata una dolorosa ricerca della verità, come quelle che fa, lo cito ancora, Vasco».
Di cui ha campionato «Gli angeli» in «Io», brano in cui dice «Non credo che il mondo torni più quello di prima, e nemmeno lo spero».
«Per il sample ho avuto la sua autorizzazione, il sogno di una vita. Il brano parla delle bugie che ci raccontiamo, dell’ipocrisia, delle maschere che ci mettiamo, del fatto che ho capito che quanto a soldi e successo confondessi il fine con il mezzo».
In «Cosplayer» attacca quelli che sposano le cause senza crederci, i politici influencer, e in un paio di immagini sembra alludere a Fedez...
«Non è una cosa personale. Io e lui abbiamo visioni della vita opposte e antitetiche. Lui rappresenta quelli che si impegnano oggi per una cosa e domani per un’altra senza avere credibilità, senza conoscere il problema. Io posso parlare di galera perché conosco chi ci è andato. Elodie può parlare di gay perché lo sono persone della sua famiglia».
A proposito, su una delle tre copertine c’è proprio Elodie. Ritorno di fiamma?
«Ci siamo lasciati durante la lavorazione del disco. È stato un momento impegnativo per entrambi ed entrambi abbiamo provato a far quadrare le cose. È bello che lei sia sulla copertina insieme alla mia famiglia e alle persone video. È anche nel video di “Crazy Love”: mettiamo in scena la fine nostro rapporto e ci uccidiamo a vicenda. Con i gossip che galoppavano, non volevo dare spiegazioni sui social. Ci siamo conosciuti sul set di un video e abbiamo pensato che sarebbe stato bello chiudere il cerchio con un altro video».
L’amore oggi per Marra?
«Ho chiesto a Ornella Vanoni se esiste veramente o se è qualcosa in cui vogliamo credere, come Gesù... Lei mi ha detto che esiste ma anche che non avuto storie vere... Allora è come Gesù...».
Nelle rime emergono i temi del politicamente corretto e della cancel culture...
«In una rima di “Cosplayer” dico che eravamo tutti per Charlie Hebdo però adesso, al di là del giudizio di valore, critichiamo Pio e Amedeo per le loro battute. Abbattiamo le statue di Cristoforo Colombo perché è più semplice ripulirsi e deresponsabilizzarsi così che riconoscere di essere stati razzisti. Mi rifiuto di pensare che l’arte non possa essere libera».