la Repubblica, 19 novembre 2021
Intervista a Monica Bellucci
«La mia vita è fatta più di incontri che di scelte». Monica Bellucci si racconta al telefono dalla casa nel Sud Est della Francia.
La sua carriera?
«È fatta di tutto, contiene successi e film mai usciti, andati male. Tutto serve a imparare. Chiuso il set per me un film, anche se hai dato l’anima, è finito. Ha una vita che non dipende più da te. È l’opposto del teatro, il teatro sei tu. Qualcosa di artigianale, sincero: sei a nudo».
Lo ha scoperto con “Maria Callas, Lettere e memorie” di Tom Volf, parole e sentimenti della Divina.
Parigi, Spoleto, ora la tournée.
«Le parole di Maria Callas mi hanno permesso di andare oltre l’immagine, penetrare nel lato più intimo ed emotivo, mi hanno toccato nel profondo. Malgrado la paura mortale del palco, non ho potuto dire di no».
Cosa l’ha colpita?
«Era una star mondiale, ma anche una donna che soffriva, come tutte.
Nel 2023 ricorre il centenario, ma per me è attuale. Ha fatto di se stessa una donna bellissima, che nessuno poteva prendere in giro. Forte nelle scelte, coraggiosa rispetto ai tempi: ha divorziato quando in Italia era vietato, anche se lui si era preso tutto. Ha sacrificato infanzia e gioventù per la carriera, poi con Onassis ha scoperto la propria femminilità e ha voluto viverla pienamente».
Cosa avete in comune?
«Penso che ci sia una energia mediterranea forte. Maria Callas si sentiva straniera ovunque andasse, New York, Grecia, Italia, Francia.
Parlava tutte le lingue con un accento, questo suo essere estranea ovunque lo capisco. Quando viaggi molto ti senti libera. ma anche persa. Ho avuto figli e mi sono resa conto di come ti cambiano la vita, riempiono uno spazio che il lavoro o un uomo possono prendere. Dicono che il suo più grande dolore sia stato Onassis, leggendo le sue lettere penso invece sia stato non avere avuto figli».
Cosa le dà il teatro? Avrebbe
voluto iniziarlo?
Il rapporto con i media?
«Non avrei potuto. Ho una timidezza pazzesca, anche se non sembra. Oggi ho l’esperienza di trent’anni di cinema. Avevo già avuto proposte, stavolta ho detto: lo faccio. È iniziata come una cosa piccola al Teatro Marigny, 450 posti, a Parigi. Poi mi ha chiamata il direttore di Spoleto. L’ho portata in Grecia con l’orchestra, andrò a Istanbul, Londra, New York.
Un progetto intimista va in una direzione che non avevo previsto».
Anche lei ha sacrificato la sua vita all’inizio della carriera?
«No. Io ho vissuto la vita che mi sono scelta. Nei pro e nei contro. Da giovane volevo andarmene dalla provincia. Il lavoro mi ha permesso di viaggiare. Mi piaceva il mondo dell’immagine, non sapevo da dove iniziare. Sui banchi di scuola sognavo Avedon. Il cinema era un mondo impenetrabile. Nella vita le cose succedono, per caso, poi con lo studio sviluppi le qualità».
A 57 anni come decide i progetti?
«Questo lavoro è fatto di proposte che ti arrivano. È successo con Callas, con La ragazza della fontana, il film su Anita Ekberg, altra diva di successo e talento con un destino di sofferenza. Scelgo ciò per cui vale la pena di alzarsi alle cinque di mattina felice e lo insegno alle miefiglie».
«È cambiato nel tempo. All’inizio ero solo una che veniva dalla moda al cinema. Avevo un’immagine predefinita, ci si aspettavano cose che non ero ancora in grado di dare.
Ho avuto giudizi feroci, ma avevano ragione, avevo molto da migliorare».
Al Festival di Torino avrà il premio Stella della Mole per l’innovazione artistica. Trent’anni di cinema.
«Tutto è iniziato con L’appartamento, il primo film francese, che ha vinto il Bafta in Inghilterra. Lo vede Stephen Hopkins, mi vuole con Morgan Freeman e Gene Hackman, Under Suspicion, primo film americano e prima volta a Cannes. Sul set a Portorico, mi chiama Tornatore per Malena, che fa il giro del mondo, me ne hanno parlato in Patagonia, in Mongolia. È stato importante Irreversible di Gaspar Noé. Matrix è arrivato per caso, vedo il primo film, “oddio vorrei farne un film così”. Mi chiamano a Los Angeles, ai provini, entro nel mondo Wachowski. Sono curiosa del loro nuovo film».
A Natale sarà in “La Befana vien di notte. Le origini” di Paola Randi.
«Sono una strega-fata che protegge tutti i bambini figli di streghe bruciate sul rogo».
Negli anni si è impegnata su questioni importanti, come l’aborto.
«Sì. Non mi sono mai mossa politicamente, solo come una donna che, da personaggio pubblico, ha la facoltà di dire qualcosa per le altre.
Poi contano le scelte. Maria Callas si è battuta per una libertà che allora non c’era. Siamo le figlie di quelle donne».
Quanto insegna e quanto impara dalle sue figlie, 17 e 11 anni?
«I ragazzi oggi sono più veloci di noi, ma scalpitano meno. Sensibilissimi sull’ambiente. Ogni volta che apro il rubinetto “che fai mamma consumi l’acqua?”. I social, che ci fanno così paura, li gestiscono in modo diverso, per loro sono un modo per mostrare quel che sanno fare».
Dalla Francia cosa vede dell’Italia?
«Da quando c’è Mario Draghi sento che c’è un po’ di fiducia in più. Mi pare abbia fatto sentire tutti più rappresentati, protetti».
Il momento più felice nella vita?
«L’immagine più forte è quando ho visto nascere le mie figlie, ho fatto due parti naturali».
Momenti dolorosi?
«Mi piace condividere il piacere, sono troppo pudica per parlare di dolore».
Mai perso l’entusiasmo?
«Sono curiosa, vado verso gli altri, mi miglioro. Cerco di non lasciare che le cose spengano questa energia».
Il più grande sogno oggi?
«Un sogno impossibile, perché tutto si muove. Svegliarmi la mattina sapendo che quelli che amo, i miei genitori, 83 e 77 anni a Città di Castello, stanno bene. Dopo il Covid abbiamo di più il senso che tutto può cambiare in un momento. Poter vivere tranquillamente è una gran cosa».