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 2021  novembre 19 Venerdì calendario

Intervista ad Angela Buttiglione, la prima donna entrata in Rai che non si occupava di moda

«Mi raccomando, state attenti. Non etichettate queste come nomine al femminile. Conosco Monica Maggioni e la stimo molto, Simona Sala non è da meno. Parliamo di signore professioniste che sapranno farsi valere. Un grande in bocca al lupo. La fatica sarà tanta». Parola di Angela Buttiglione, in Rai per quarant’anni, conduttrice del Tg1 per oltre 25, prima che le fosse affidata, nel 1996, la direzione di Rai Parlamento e TG Parlamento, per poi passare nel 2002 alla direzione del Tgr e dunque Direttrice generale di Rai Corporation. Una donna che di giornalismo, praticato e diretto, se ne intende parecchio.Buttiglione, i suoi inizi sono stati difficili?«Sono entrata ragazzina nel 1968, per concorso. Unica donna prima di me, Bianca Maria Piccinino che si occupava di moda. Allora a una donna non veniva affidato che questo».Perciò non rose e fiori?«Ero appena entrata, elezioni in Germania, mi affidarono il servizio di un minuto. La linea gerarchica del controllo era ferreo. Dopo aver superato vari caporedattori, mi ritrovai fuori dalla porta del vicedirettore che leggendo il mio pezzo disse una parolaccia e poi gridò: “Ma questo l’ha scritto una donna!”. Ma se consideriamo che il voto per noi è arrivato nel dopoguerra e il concorso in Magistratura ha aperto alle donne negli anni Sessanta, allora tutto si spiega. Alle mie figlie non è accaduto quel che è accaduto a me».Com’era la Rai nella quale è entrata?«Era una Rai giurassica, la pressione politica era molto relativa, c’era un’alta professionalità che la calmierava. Poi nel 1975 la riforma Rai ha cambiato tutto. La moltiplicazione delle fonti d’informazione, il Tg1 istituzionale, il Tg2 all’opposizione e qualche anno dopo il Tg3 ai comunisti, ha permesso alla politica di entrare pesantemente nelle decisioni dell’Azienda. Mi dispiace molto notare che un tempo faceva ancora agio la professionalità e oggi meno».Ha seguito le nomine di queste ore?«Ne ho viste tante di nomine. Sono i momenti canonici della Rai, le trattative, le liti, gli accordi. La politica non vuole cambiare la Rai e la Rai non vuole fare a meno della politica. Ci si è molto adagiati, una via facile per assicurarsi la carriera professionale. Ricordo Craxi con i numeri di telefono. Non mi vengono in mente di peggiori o di migliori».Per avere il primo direttore donna alla guida della testata ammiraglia si è aspettato il 2021. Non è troppo?«Nella vita le cose accadono quando devono. Oltretutto non mi sono mai appassionata alle questioni di genere. È un cliché. Ho sempre trattato i colleghi da pari e non ho mai avuto la sindrome della donna».Quando si diventa direttori forse è più facile non averla, no?«Forse, ma io per direzioni tendevo al progetto che c’era dietro. Rai International non esisteva, era l’ex direzione esteri, una formazione italiana, all’estero appunto, che lavorava tramite cassette e videocassette. Letizia Moratti ebbe l’intuizione di passare alla diffusione via satellite. Fu difficile ma ci riuscii. Poi le Tribune che diventavano testata giornalistica, il TgR con infinite realtà diverse. Non vorrei sembrare spocchiosa, però mi ero costruita un’autorevolezza che mi permetteva di lavorare bene con un obiettivo preciso».Quali sono state le conduzioni che l’hanno maggiormente segnata?«Quella sulla morte di Rajiv Gandhi. La notizia arrivò nel corso del Tg delle 20,00. Feci titolo e servizio a braccio. L’attentato a Falcone. Ma giornalista sul campo è altra cosa dall’essere direttore».La prima esperienza serve alla seconda?«Moltissimo. Perché quando cercano di fregarti hanno meno armi. Quando entravo in uno studio sapevo bene se una cosa era possibile oppure no e quando protestavano facevo vedere come si faceva. Avere alle spalle un’esperienza pesante sul campo serve moltissimo».E da direttore che serve?«Sicurezza e professionalità. Da direttore del Tgr avevo 21 regioni da governare e caporedattori tutti uomini. Si muovevano con molta sufficienza nei miei confronti, sicuri del loro appoggio politico. Dopo sei mesi non erano più caporedattori. Ma non per stupida ripicca, erano degli incapaci».Le hanno mai fatto pesare l’essere sorella di un politico o la sua fede religiosa?«Mio fratello era più piccolo di me e in Rai sono entrata per concorso, oltretutto abbiamo sempre voluto tenere le carriere separate. Quanto al resto, non ho mai ostentato le mie opinioni. Ho agito in base alle mie convinzioni». —