Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2021
Hearst Italia ha tagliato metà dei giornalisti
«Abbiamo portato a completamento il piano di uscite. Ora il nostro focus è ripartire con lo sviluppo. Possiamo definire conclusa tutta l’attività focalizzata sul risparmio dei costi». Giacomo Moletto, amministratore delegato di Hearst Italia, al Sole 24 Ore conferma che il perimetro, anche di testate, è quello e non cambierà. «L’ultimo intervento ha riguardato Cosmopolitan, per la quale puntiamo a una maggiore componente digitale. Del resto ci siamo resi conto che è un prodotto molto tradotto dall’edizione americana. Quello che quindi abbiamo fatto è passare dalle 10 uscite del 2019 alle 6 del 2022.
Hearst, editore made in Usa, ma globale, presente in Italia con i brand Cosmopolitan, Elle, Elle Decor, Esquire, Gente, Harper’s Bazaar, Marie Claire, Marie Claire Maison, guarda al futuro con alle spalle un piano di riduzione della forza lavoro giornalistica che ha avuto come conseguenza l’uscita di 54 giornalisti su 107 con scivoli da 48 fino a 56 mensilità, in proporzione agli anni di anzianità aziendale. In generale, andando oltre al solo dato della componente giornalistica, a uscire da Hearst è stato il 48% della popolazione aziendale.
A livello redazionale, Massimo Russo ha assunto la carica di direttore responsabile di Elle, Marie Claire, Cosmopolitan, oltre a mantenere quella di Esquire (Monica Mosca, direttore di Gente, e Francesca Delogu, direttore di Cosmopolitan, hanno dato il loro addio a Hearst). Questa settimana ha debuttato il nuovo Marie Claire Maison diretto da Csaba dalla Zorza e recentemente sono arrivate alla guida di Gente Rossella Rasulo e Lavinia Farnese alla guida di Cosmopolitan.
«Quello che c’è stato – spiega Moletto – è un cambio culturale fortissimo. Ora iniziamo a pensare a come poterci sviluppare. Tant’è vero che anche la nostra direzione del personale, molto focalizzata sul tema del crisis aziendale adesso si sta riconvertendo sui temi della selezione e della formazione, con un’attenzione alle competenze nel digitale, nell’innovazione e nella creazione di nuovi business»
Assunzioni su nuove professionalità, dunque, arriveranno. Ed è da vedere se saranno sufficienti per placare le preoccupazioni della redazione che ora sono tutte focalizzate sui carichi di lavoro e con l’intento di evitare che i prodotti arrivino ai lettori con l’utilizzo di figure diverse da giornalisti professionisti. Il fatto che Hearst abbia trasferito sei anni fa le redazioni dei siti online delle testate di riferimento in Svizzera fa stare in allerta.
L’imperativo ora, dice Moletto, è «lavorare sui processi, perché l’impianto classico di organizzazione dei periodici, che agiscono come feudi, non funziona più. Soprattutto come nel nostro caso in cui abbiamo periodici con picchi di lavoro e stagionalità differenti». Da qui l’idea, da sviluppare ancora meglio di un modello organizzativo con una redazione unica attorno alla quale ruotano giornalisti che hanno competenze molto verticali che rimarranno sulle singole testate. «Le attività fondanti e identitarie rispetto ai brand, penso alla moda e al beauty per esempio, resteranno separate al contrario di quelle trasversali come attualità e ufficio centrale. Al momento questo è un progetto che riguarda Elle, Marie Claire e Cosmopolitan»
Nei primi nove mesi dell’anno, fa sapere l’azienda, il fatturato complessivo (40,8 milioni) è salito del 16,6% rispetto ai nove mesi 2020, ma sceso del 24%, confrontandosi con i 53,4 milioni del 2019. La crescita del digital è però stata costante : 40% circa fra 2021 e 2019. «Il digitale sarà la chiave e la linea strategica sulla quale intendiamo proseguire» per risalire stabilmente dopo un 2020 chiuso da Hearst Magazines Italia con ricavi per 41 milioni impattati fortemente dalla pandemia in flessione del 27% e un rosso di 12,5 milioni dopo i -17,6 del 2019. «Una delle tracce di lavoro può essere quella della gestione del dato, sul quale possiamo spingere per accrescere i ricavi». A ogni modo, chiosa Moletto, «occorrerà per noi editori una scelta sempre più chiara fra prodotti circulation driven, legati alle copie, che anche se non resteranno per sempre, se restassero altri 10 anni non sarebbe per niente male. Dall’altra parte i prodotti advertising driven che hanno un futuro. Ma dovranno avere una chiara identità e identificazione».