Il Messaggero, 18 novembre 2021
Il Dante di Pupi Avati. Intervista
L’Alta Fantasia è il romanzo di Pupi Avati – sottotitolo Il viaggio di Boccaccio alla scoperta di Dante – che il maestro bolognese ha dedicato all’autore della Divina Commedia, e che funge da traccia per l’agognato film Dante, che uscirà finalmente – a diciott’anni dall’idea originale – all’inizio dell’anno prossimo. «Ormai siamo in fase di postproduzione, ieri abbiamo montato lo colonna sonora, posso dire che è realtà», racconta il regista. Nel film Boccaccio è impersonato da Sergio Castellitto. Ma per il ruolo del Sommo Poeta Avati ha scelto quattro attori diversi, da 5 a 56 anni. «Alessandro Sperduti è Alighieri da giovane. Ma lo sa? Io sono ancora incredulo. È incredibile che il cinema italiano abbia deciso di fare un film così. È un’impresa che ha dell’inverosimile».
Il libro edito da Solferino, uscito da pochi giorni, precede il lavoro cinematografico. Il titolo prende le mosse da un celebre verso del Paradiso: «A l’alta fantasia qui mancò possa;/ ma già volgeva il mio disio e ’l velle,/ sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle». Presentazioni il 20 novembre a Roma (ore 18 presso Libreria Eli viale Somalia 50 con Maria Grazia Calandrone e Nadia Terranova, lettura di Alessandro Sperduti) e il 21 a Frascati (ore 18,30 presso le Scuderie Aldobrandini con Paolo Di Paolo e Giulio Ferroni). Avati riesce nell’impresa non facile di rendere umano il Sommo Poeta.
Come è nata l’idea? Dalla lettura del Trattatello in laude di Dante di Boccaccio?
«La scuola italiana ha fatto di tutto per rendermelo repulsivo, Dante. Anche altri autori classici, ma soprattutto Dante, che aveva l’aggravante dell’iconografia: brutto, sempre dipinto di profilo... Lo presentavano come un essere umano appartato, supponente, non certo simpatico. Quando poi da adulto sono arrivato ad affrontare la Vita nova (la prima opera di Dante, ndr), tutto è cambiato. È l’approccio che io suggerisco a tutti, perché quel ragazzo che racconta di sé è rimasto sempre tale per tutta la vita».
È da quel ragazzo che è partito?
«Non essendo io un accademico e volendomi difendere dalle matite blu o rosse dei vari professori che potrebbero sollevare obiezioni, ho fatto ricorso a Boccaccio, che fu il primo a raccogliere informazioni sulla vita del poeta. Andò a trovare la figlia, a 29 anni dalla morte di Dante, per risarcirla con 10 fiorini d’oro per il tanto male che i fiorentini fecero a suo padre. Un pretesto narrativo e cinematografico di grande fascino».
Ha fatto molta ricerca?
«Sono i momenti più belli della mia vita professionale, quelli della ricerca. I momenti in cui io scartabello, cerco, frugo, consulto... e poi mi sono fatto un sacco di amici dantisti che chiamavo di giorno e di notte, ho trascorso vent’anni con Dante e ora, finalmente, il libro e il film vedono la luce».
Chi è stato il suo Virgilio, in questo viaggio?
«Marco Santagata ed Emilio Pasquini, due grandi studiosi e amici, purtroppo morti di Covid, mi hanno aiutato nella sceneggiatura. Uno specialista, Claudio Giunta, l’unico che ha visto il primo montaggio, mi ha detto: peccato che Marco non possa vedere il film»
Quanto ha dovuto aspettare?
«Ho ancora una lettera di Rai Fiction firmata da Giancarlo Leone e Stefano Munafò, del 2003, in cui la Rai si impegna a farmi fare un film sulla vita di Dante Alighieri narrata da Boccaccio. Che vuole, questi sono i tempi».
Un libro, e un film, che sentiva impellenti?
«Non vorrei sembrarle presuntuoso, ma ho fatto il film che credevo fosse necessario. Per spingere la gente a leggere questo capolavoro che è la Vita nova
, se non addirittura la Divina Commedia, bisognava umanizzare l’autore. Se sai tutto di lui, ne deduci il tono di voce, la calligrafia, nasce un rapporto molto confidenziale. Penso di aver raccontato un Dante seducente proprio perché è un Dante normale».
Lei racconta un Sommo Poeta che cede ai piaceri della carne. Era per umanizzarlo?
«Certo, ma è Boccaccio a dirci che lui era molto attratto dalle donne, fisicamente. Io racconto Dante con le sue necessità corporali, come credo sia stato».
Un Dante inedito?
«Le celebrazioni per i 700 anni dalla morte si sono concentrate sul politico, il teologo, il padre della lingua italiana, il Dante che ha unito il Paese. Ma il Dante umano, il bambino che perde la madre a cinque anni, che incontra Beatrice, la corteggia e impiega nove anni per ottenere un suo saluto, quella misura affettiva lì io non l’ho sentita raccontare.
Chi è veramente Beatrice?
«Beatrice non è una Barbie vista in campo lungo, come è sempre stata considerata. È bellissima questa cosa di saper amare in un modo così definitivo. Io ho una grande nostalgia di questi innamoramenti, che sono stati anche i miei, da ragazzo, nella Bologna degli anni 50».
È vero che a un certo punto viveva solo per vendicarsi?
«Penso proprio di sì, basta elencare i personaggi che elenca nell’Inferno, a cui riserva un trattamento terribile. La premessa è che lui vivrà per scrivere quello che di una donna non fu mai scritto. Ma allo stesso tempo, il risentimento è fortissimo e continuo. L’ingiustizia patita gli ha dato un’energia formidabile»
Un po’ come, molti secoli dopo, il conte di Montecristo?
«Esatto, proprio così. Aveva una gran voglia di vendicarsi ma non ce la fa, muore prima di riuscirci».
Nel romanzo elenca una playlist molto sofisticata, da Rachmaninov a Miles Davis.
«Credo sia l’unico caso della letteratura mondiale. Non so se io sia stato impudico, a fare quello che ho fatto».
Nel film sentiremo la stessa musica?
«No, la colonna sonora non poteva essere così azzardata».
Il libro rispecchia la sceneggiatura del film?
«È assolutamente fedele, anche se mi sono potuto concedere dei lussi che con il cinema non ti concedi. Nei film la tua creatività si scontra con il budget, non puoi andare oltre».
Boccaccio deve tutto a Dante?
«Boccaccio deve tutto a Dante e io devo tutto a Boccaccio».