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 2021  novembre 18 Giovedì calendario

Intervista Corrado Ravanelli

Corrado Ravanelli era poco più di un bambino quando sverniciava le navi nel porto di Genova. «Ma lei sa come si faceva? Ci arrampicavamo su delle assi sospese e si lavorava così, penzolando nell’aria, tutto il giorno. Io ho sempre sofferto di vertigini, si immagini lei».
Ma la guerra aveva lasciato fame e miseria e siccome suo padre era morto quando lui aveva cinque anni, al «Corradino» toccava fare di tutto: lavare le bottiglie in una distilleria, portare su la spesa nelle case senza ascensori.
Oggi però è un giorno importante: a quasi 92 anni (li compie il prossimo marzo) Corrado diventa il «dottor Ravanelli», perché l’università del Piemonte Orientale gli conferisce la laurea ad honorem in Economia, amministrazione e controllo.
I giorni passati a spellarsi le mani sulle navi sono lontani, ma Ravanelli se li ricorda benissimo. E anche se nei decenni ha fondato l’azienda Mirato, ha avuto l’idea di portare la lacca per capelli sulle toelette di tutte le donne e ha inventato il più famoso deodorante profumato in Italia, Ravanelli parla ancora con gli occhi luccicanti di un ragazzo che ha appena avuto un’idea.
Possiamo chiamarla «dottore», insomma.
«Ma no, somaro ero e somaro resto. Certo, qualcosina l’ho fatta».
Cominciamo dall’inizio.
«Vuole che le racconti l’ululato delle sirene durante la guerra? Sa, me lo ricordo benissimo. Noi stavamo nel quartiere Quarto dei Mille, conoscevamo perfettamente la rete dei rifugi antiaerei».
Poi la fatica con i lavori al porto di Genova. Ma come ci è arrivato a Novara?
«Perché ero stato assunto come rappresentante di commercio da una ditta di cosmetici. Mancava un bravo impiegato in Piemonte e così io andavo in giro, mi guardavo intorno».
Si era alla fine degli anni Cinquanta. Che cosa vedeva?
«Donne che si facevano la messa in piega con la lacca».
Dal parrucchiere, però.
«Ebbi l’idea: ma perché, dissi a me stesso, la lacca deve averla solo il coiffeur? Perché non portare delle pratiche bombolette nelle case?».
Nacque la lacca Splend’Or.
«Ma prima avevo fondato l’azienda, la Mirato, con cui avevo iniziato la prima produzione artigianale di lacca. Quella confezione la chiamai Splend’Or perché l’idea mi venne in una bellissima giornata di sole».
Nel frattempo lei, a trent’anni, si era sposato con Giovanna Flamà, di dieci anni più giovane.
Anni Cinquanta
Guardando le donne fare la messa in piega, pensavo: perché la lacca devono averla solo i parrucchieri? Così la portai nelle case
«Sa come l’ho conosciuta?».
Dal parrucchiere?
«No, durante una gara. Io ho sempre amato le auto da corsa e quella volta correvo la Trento-Bondone, una salitaccia. Giovanna venne con un amico. Ci guardammo e ci piacemmo subito. Abbiamo fatto due figli e non ci siamo più lasciati».
Ancora oggi guida le auto da corsa?
«Guido la mia Porsche e ogni tanto faccio qualche giro ma non vere e proprie gare, diciamo che corro per divertimento».
Il claim di «Malizia profumo d’Intesa» ha finito per diventare un tatuaggio generazionale. Come nacque l’idea?
«Mi venne nel pieno di una notte insonne. Mi sollevai dal letto e urlai: “Malizia profumo d’intesa”. Mia moglie mi prese per matto ma io sentivo di aver avuto la grande intuizione: un deodorante che giocava a fare il profumo e che ammiccava all’idea di una giocosa trasgressione. Pensavo al film con Laura Antonelli, naturalmente».
Che è del ‘73, mentre il lancio del deodorante avvenne nel ‘79.
«L’agenzia pubblicitaria che seguiva il progetto ci sconsigliava quell’accostamento, io andai dritto per la mia strada. Avevo capito che se la prendi con ironia anche la seduzione diventa di tutte e di tutti. Posso raccontarle una delle massime soddisfazioni della mia vita?».
Prego.
«Un giorno, era verso la metà degli anni Ottanta, a Novara incrociai un gruppo di bambine che giocavano in cortile. Tutte in coro cantavano la canzoncina di Malizia profumo d’intesa e allora mi venne un brivido. Quando avevo quattordici o quindici anni e sverniciavo le navi nel porto di Genova nessuno avrebbe scommesso una lira su di me. Quel giorno ebbi la netta sensazione di aver fatto qualcosa che resterà».
Da oggi il dottor Ravanelli che cosa farà?
«Continuerò ad avere idee. Non posso farne a meno».
L’azienda passa nelle mani di suo figlio Fabio.
«Ottime mani».
Ma in famiglia scommettono che lei continuerà a farsi vedere eccome.
Anni Ottanta
A Novara incrociai un gruppo di bambine, giocavano e cantavano il motivo di un nostro spot Una delle soddisfazioni più grandi della mia vita
«Eh, in un certo senso».