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 2021  novembre 18 Giovedì calendario

L’Otello di Kaufmann


Jonas Kaufmann è il più italiano dei tenori d’oltralpe. Divo e sex symbol poco più che cinquantenne, si comporta però come una star della porta accanto. Adora la penisola, che frequenta da decenni. Sa cucinare prelibatezze nostrane. Parla da madrelingua. Addirittura canta un napoletano inappuntabile, come fosse cresciuto in un basso anziché in Baviera. Proprio a Napoli ha trascorso le ultime settimane, per le prove di Otello di Giuseppe Verdi che domenica inaugura la stagione del San Carlo con il Presidente della Repubblica in sala (repliche fino al 14 dicembre). Sul podio Michele Mariotti, nel cast Maria Agresta e Igor Golovatenko. Lo spettacolo firmato da Mario Martone traduce la storia in uno di quei femminicidi che si leggono quotidianamente sui giornali.
Maestro Kaufmann, il suo Otello è un geloso da cronaca nera?
«La vicenda è ambientata nel presente, e lui non ha la pelle scura.
Insomma Verdi, e il suo modello Shakespeare, vengono riorientati secondo il punto di vista del presente».
Una visione con cui concorda?
«Un compromesso tra lettura registica e musicale. Anche se per me è riduttivo motivare l’omicidio di Desdemona soltanto come impulso di gelosia. Otello infatti è uno che, prendendosi un bel po’ di rischi, si è fatto da sé contro tutto e tutti. Quindi teme chiunque. Eppure di qualcuno deve pur fidarsi, benché non capisca bene di chi. Sembra forte, ma è debole, anche a causa del suo essere straniero nella società in cui ha acquisito una precaria posizione di preminenza. Nel dramma shakespeariano l’assassinio della moglie creduta fedifraga appare come la vendetta di un diverso per colore della pelle, religione, mentalità. Tuttavia capisco che mostrare questo, oggi, non sia politicamente corretto».
Otello è violento anche nel canto?
«Sì, deve sovrastare un’orchestra spesso potente. Questo è il mio terzo Otello, e se le volte precedenti ho cercato di scurirmi parecchio la voce, ora invece non voglio calcare troppo la mano, ma giocare sulle sfumature, dal super piano al forte enorme, per rendere la psicologia sfaccettata del personaggio».
Verdi pretende la padronanza dell’italiano...
«E l’Italia la conosco come le mie tasche. Dall’infanzia. Dalle vacanze con i miei genitori che la consideravano una terra poco sicura, e perciò si portavano il cibo da casa.
Ma quando ho cominciato a comprendere lo spirito degli italiani e la lingua, ne ho adottato lo stile di vita: l’immergersi appieno nella bellezza e nella bontà senza angosciarsi per quanto potrebbe accadere domani
».
Proprio in Italia, al Piccolo di Milano, il mondo dell’opera si è accorto di lei. Nel 1998, grazie a un “Così fan tutte”. Cosa ricorda di quell’allestimento, l’ultimo di Strehler che morì durante le prove?
«Ero giovane, non sapevo davanti a quale gigante del teatro mi trovassi.
Mi colpiva solo il fatto che lui si fermasse tanto, tanto su ogni passaggio, mentre io scalpitavo per mettermi in azione. Ma le sue spiegazioni servivano, eccome: a dare levità e naturalezza al movimento, cosicché ogni ripetizione di una scena paresse prendere vita sul momento, con fresca immediatezza, mai identica a se stessa».
Poi nelle stagioni italiane non è
tornato di frequente. Perché?
«Mi ci ha portato Stéphane Lissner da sovrintendente della Scala e ora del San Carlo. Il problema è che qui la programmazione si decide all’ultimo o, se fatta in tempo, rischia di essere manomessa d’improvviso per mancanza di soldi. Invece io calendarizzavo gli impegni almeno cinque anni prima. Adesso però sono stufo di tanto anticipo. È un’imposizione del mercato globalizzato che non lascia libertà di concepire percorsi artistici personali».
I suoi ammiratori la seguono ovunque. Come ne vince l’assedio?
«Talvolta vorrei non dovermi fermare per i selfie dopo la fatica di uno spettacolo. Ma poi penso quanto rimpiangerei questo gioioso accerchiamento se un giorno venisse a mancare. Le ammiratrici sono così gentili: mi regalano cibo in quantità, e durante il lockdown ne ho fatte tali scorpacciate da mettere a dura prova il mio girovita. Pazienza, si accontenteranno di un sex symbol sovrappeso».