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 2021  novembre 18 Giovedì calendario

La seconda vita della baby prostituta dei Parioli

«Ero sotto shock. Quando arrivarono i carabinieri a casa dissi “Ciao ma’”, pensando di tornare in due ore. La rividi dopo tre anni».
Il viaggio di Marianna inizia da lì: la porta di casa che sbatte e la carraia del Palazzo di Giustizia di Roma che si apre davanti a suoi occhi. Lei, la 14enne che insieme ad un’amica si prostituiva in un seminterrato dei Parioli, il quartiere “bene” di una capitale smaliziata e corrotta, si confessa in un’intervista esclusiva rilasciata a Paola Zanuttini che sarà pubblicata integralmente domani sul Venerdì.
Otto anni dopo il viavai di politici, professionisti, misteriosi grand commis di stato, quasi tutti rimasti anonimi, che animava il piccolo appartamento preso in affitto da Mirko Ieni (l’improvvisato “protettore” delle ragazze condannato a dieci anni di carcere), Marianna si racconta.
«Chi non ha la smania dei soldi a quell’età e soprattutto se vivi ai Parioli dove tutto è un volere di più, sempre di più? Ma poi hanno montato le cose: non ho mai comprato una borsa Chanel o Louis Vuitton, io facevo shopping H&M. I soldi li spendevo per i vestiti, i taxi, tantissimi taxi, le sigarette, le discoteche».
Giunta all’età di 23 anni, al termine di un lungo soggiorno in comunità, quattro anni di psicoterapia e un diploma all’istituto grafico pubblicitario, Marianna è pronta per riscrivere la sua storia. O almeno una parte di essa. Lo fa parlando al Venerdì e partecipando al documentario in due episodi di Simone Manetti “La ragazza dei Parioli” che andrà in onda su Crime+Investigation su Sky e Prime Video il 23 e il 24 novembre.
«Lo faccio non solo per me – spiega – ma per altre ragazze e ragazzi in situazioni del genere».
Si aprono così le porte del tempo e in un istante si torna al 28 ottobre del 2013 quando – al termine di un’indagine lampo condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Roma – i principali responsabili del giro messo in piedi intorno alle baby prostitute dei Parioli vengono arrestati. Tra loro c’è anche la madre di Marianna, poi condannata a sei anni per averla sfruttata. «Ero convinta che le mie bugie fossero credibilissime – dice oggi – ma essendo una donna intelligente avrebbe dovuto intuire che qualcosa non andava. Non è la prima madre che sbaglia e non scordiamo che sono uscita intera da questa storia anche grazie a mia madre e mia nonna che qualcosa di buono mi hanno insegnato, per esempio la consapevolezza. In comunità ho visto tante ragazze consapevoli e vogliose di riprendersi la vita». L’adolescenza di Marianna si consuma in un fazzoletto di conoscenze e di abitudini: il bar gestito dalla nonna a due passi dal Piper (la discoteca che lanciò Patti Pravo), il liceo Giulio Cesare di corso Trieste, le mattinate trascorse in strada marinando la scuola. In quella routine di sigarette fumate condividendo segreti e desideri si cementa l’amicizia con la sua “complice”, la seconda ragazza, più grande di un anno e forse anche per questo più determinata nel tentativo di divorarsi il tempo.
«Non è questione di cattive compagnie – si difende Marianna – ma di quanto tu tieni a quella persona che è una cattiva compagnia. Io ho seguito la mia amica perché l’amavo, avrei fatto qualsiasi cosa con lei e per lei. È stata una mia scelta».
La scelta diventa presto una strada a senso unico. Mirko Ieni, l’uomo che organizza gli incontri e tiene i rapporti con i clienti, smista decine di richieste al giorno. Gli incontri prima si tengono in macchina, poi – quando la domanda aumenta – lo stesso Ieni prende in affitto il seminterrato a due passi dall’Auditorium di Roma.
«Nella mia testa era più difficile smettere che continuare – ricorda Marianna. – Mi mettevo dei falsi ostacoli. Come dirlo a mia madre? Come affrontare la vergogna? Come fare a meno dei soldi? Come passare il tempo prima di diventare grande?». Domande e incertezze che offrono un’occasione a decine di uomini (oltre mille i contatti telefonici ricostruiti dai carabinieri). «Non li giustifico – dice oggi la ragazza – ma forse non si capiva che eravamo minorenni». A otto anni di distanza quel dubbio è rimasto nell’aria. Così come l’identità di decine di uomini che hanno varcato il portone di quello stabile anonimo e borghese in viale Parioli.