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 2021  novembre 18 Giovedì calendario

A Parigi, riapre il Crazy Horse


PARIGI —Sull’avenue George V quasi deserta una piccola folla osserva meravigliata donne conturbanti che si muovono con toni marziali indossando succinte divise ispirate a quelle delle guardie reali britanniche.
God save our bareskin è da venticinque anni uno dei balletti più famosi del Crazy Horse, giocando tra il nome del tipico colbacco “Bearskin” e la parola “bareskin”, pelle nuda. «Meno male che riapre, la strada era diventata un mortorio», nota lo chef del ristorante italiano a pochi metri. La Ville Lumière ritrova il suo mitico cabaret con un’esibizione all’aperto, in un’aria pungente, e non c’è tempo per domandarsi se le crazy girls avranno freddo anche loro, se lo spettacolo può finalmente andare avanti o se invece il rimbalzo della pandemia farà di nuovo calare il sipario.
Per dimenticare il sottofondo angosciante di una Francia che pare sempre più rabbiosa e spaventata, a due passi dagli Champs-Élysées si scende in angusti scantinati trasformati in alcove foderate di velluto rosso, camerieri che porgono flûtes di champagne, un gioco di luci che avvolge in un sogno un po’ forzato, ma sempre di evasione si tratta. It’s showtime again, scritto sul palco, sembra quasi un esorcismo finiti i diciotto mesi di serrata. Parigi è una festa, o non è, e lentamente sta ritrovando il suo abito, anche quello del “nudo chic” immaginato settantant’anni fa dal dandy Alain de Bernardin che voleva portare sul palco «il corpo femminile come teatro del mondo». Da allora il Crazy Horse si è reinventato più volte, e ora accoglie il pubblico con spettacolo e arredo nuovi. «Abbiamo voluto ripensare completamente l’esperienza dello show», spiega Philippe Lhomme. L’imprenditore belga, tra gli azionisti del locale, promette nuovi tableaux, coreografie a tema che giocano su un erotismo sofisticato. «Mai volgare», aggiunge Lhomme, secondo cui le prenotazioni sono quasi tornate al livello pre-Covid. Anche se latitano americani e russi, arrivano tanti francesi che riscoprono uno spettacolo che qui nessuno vuole chiamare solo cabaret. «Andare al Lido e al Moulin Rouge è come stare davanti alla tv, da noi gli spettatori sono vicini», racconta Deborah Lettieri, in arte Gloria di Parma, unica ballerina italiana del Crazy Horse, arrivata dieci anni fa con un biglietto da spettatrice. «Mi sembrava che queste donne avessero il mondo in mano», ricorda nel camerino l’ italienne considerata ormai l’erede di Rosa Fumetto, vedette degli anni Settanta. A dispetto dei cliché, la maggioranza del pubblico è femminile, ben il 70%. «E nelle coppie sono spesso le donne che spingono per venire», spiega un’altra italiana, Silvia Reissner dell’ufficio comunicazione. La direzione artistica è affidata alla francese Andrée Deissenberg e quella di scena alla russa Svetlana Konstantinova.
«Abbiamo preso il potere», scherza Gloria Di Parma che ha smesso di litigare con gli amici italiani quando l’accusano di lavorare in un locale di spogliarelliste. «Rispondo: venite a vedere», spiega, lamentandosi dei pregiudizi che ci sono in Italia. Nell’epoca del MeToo, la ballerina di 38 anni non vuole essere presentata come una “donna oggetto”. «Prima ero timida e introversa, grazie al mio lavoro ho scoperto una forza che non pensavo di avere». Dietro a piume e paillettes, c’è un ritmo durissimo. Due spettacoli ogni sera, a volte un giorno solo di riposo a settimana e un ossessivo perfezionismo estetico. Ancora oggi le ballerine sono reclutate secondo i rigidi canoni decretati da Bernardin che nel 1994 si è suicidato dietro al palcoscenico senza lasciare neppure un biglietto. L’immaginario sarà forse cambiato con il porno di massa, ma al Crazy Horse nessuno pensa sia superata la bellezza dell’effeuillage, lo svelamento della nudità come i petali di un fiore. «Non è più solo un posto di striptease, oggi è qualcosa di molto diverso», ripete Gloria che durante il lockdown è tornata a Parma per stare in famiglia. «Al mio corpo ha fatto bene fermarsi, sono venute fuori contratture ormai croniche», ammette la ballerina. Dopo due mesi di pausa aveva già voglia di risalire sul palco.