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 2021  novembre 18 Giovedì calendario

«I partiti non sanno più come si elegge un presidente». Parola di Guido Bodrato


ROMA – Guido Bodrato, 88 anni, ex direttore del “Popolo”, tre volte ministro, deputato Dc dal 1968 al 1994, cosa la colpisce della discussione in corso sul nuovo Presidente della Repubblica?
«Prevale nei più una preferenza per la conferma dell’attuale assetto: Draghi premier e Mattarella presidente della Repubblica. Ma con quale maggioranza, mi chiedo? Non c’è. E così questo auspicio è solo un modo per evitare il problema, perché, nel concreto, non sanno come fare. Ma tenere ai loro posti Draghi e Mattarella, congelando uno stato di necessità, non è una scelta politica».
Non si scorge una maggioranza che possa eleggere il Capo dello Stato?
«Esattamente. Una maggioranza va costruita. Stiamo parlando di un’elezione complessa, che poi comporta una verifica per il governo, l’attuale premier sarà costretto a dimettersi: le ricadute sono tante».
Il Parlamento è in ritardo?
«Si rischia di andare al voto senza punti di riferimento. È stato sprecato del tempo prezioso. Non si è sciolto neppure il nodo del sistema elettorale. Mi chiedo cosa abbiano fatto in questi mesi. La politica è scelta».
A quante elezioni ha
partecipato?
«Tre: Leone, Pertini, Cossiga.
Quando è stato eletto Scalfaro gli sono subentrato in Parlamento».
Come si preparavano allora?
«Quando si arrivava a ridosso non si sapeva chi avrebbe vinto, ma si sapeva chi correva. I nomi non uscivano all’ultimo momento. I candidati erano il frutto di precise opzioni politiche».
La Dc non era un partito monolitico.
«Affatto. Ma c’era la consapevolezza delle proprie responsabilità. Ricordo l’assemblea dei gruppi parlamentari alla vigilia dell’elezione del 1971. Il partito era diviso tra Giovanni Leone e Aldo Moro. Alcuni incerti chiesero di sentire la posizione politica di Moro, che non era in sala. Giovanni Galloni andò da lui e lo pregò di intervenire. Moro declinò: “Cosa potrei aggiungere? Sanno come la penso”. Si votò e per dieci voti passò Leone».
Teme che si vada verso un’elezione non ponderata?
«Sì, di risulta. Ma il voto non può non essere politico. E deve collocare il Presidente della Repubblica al di sopra delle parti».
Cosa voleva dire Mattarella con quella frase su Leone?
«Che la Costituzione prevale sui contrasti politici contingenti. Il Capo dello Stato non è un jolly da giocare a scopa tra i partiti».
Come se l’è cavata Mattarella?
«Quando fu eletto dissi che era un Einaudi siciliano con la tenacia di un Pertini. Confermo il mio giudizio.
Non è mai stato un uomo che si presta allo spettacolo, sa che un grande politico dev’essere soprattutto un educatore».
Rimarrà nel totonomi fino alla fine?
«No, penso che abbiano capito che il suo è un no definitivo. Del resto è inaccettabile l’idea di un Presidente a termine. La crisi politica non può trasformarsi in una crisi istituzionale».
C’è il precedente di Napolitano.
«Non ha risolto i problemi, mi pare.
La crisi è continuata».
Come finirà?
«Non lo so. Ha ragione Rino Formica: serve un giovane, fuori dai risentimenti, una candidatura che non viene dalla Prima Repubblica.
Un nome che si faccia però carico della Costituzione senza stracciarla».
Cosa deve fare Draghi?
«Dipende da lui. Se si va verso un Capo dello Stato con cui è in sintonia allora è meglio che resti premier; se va al Colle poi dovrà scegliere una persona che possa continuare il suo lavoro come capo del governo».
Le sembra realistica l’opzione Berlusconi?
«Berlusconi l’ho combattuto. Più volte l’ho anche incontrato. Un giorno mi arrivò un pacco con venti libri della Mondadori e dentro un suo biglietto: “Al più leale dei miei avversari”. La sua candidatura mi pare del tutto fuori tempo».
È troppo anziano?
«Un Presidente della Repubblica deve rimanere al Quirinale sette anni, deve stare meglio di come sto io adesso, e sto bene. C’è da reggere una responsabilità enorme. E Berlusconi ha 85 anni».
Perché è così attivo su Twitter?
«Perché la passione per la politica non invecchia mai».