la Repubblica, 18 novembre 2021
Intervista a Roger Federer
Il tempo passa veloce e poiché troppi parlano di lui, Roger Federer ha preso l’iniziativa e ha telefonato: «Bisogna che vi dia mie notizie», ha detto. E così, tra una seduta di riabilitazione e una di terapie varie con il suo fisioterapista Dani Troxler, ha scelto La Tribune de Genève e 24 heures per aprirci il suo cuore e darci notizie sulla sua salute. Dopo quasi 40 minuti di intervista, si arriva a una conclusione: l’immobilizzazione forzata non ha frenato lo slancio originale che è la vera forza di “RF”: il suo ottimismo.
Roger Federer, il mondo del tennis si interroga sulla data del suo ritorno in campo e su una sua eventuale partecipazione agli Open d’Australia.
«In verità, già mi sorprenderebbe riuscire a giocare a Wimbledon, e di conseguenza gli Open in Australia non li metto nemmeno in conto. Non c’è da stupirsi, del resto. Già prima dell’operazione si sapeva che ci sarebbero voluti parecchi mesi di pausa. Da questo punto di vista, quindi, non c’è niente di nuovo. Volevo aspettare il primo check up completo dei medici per parlarne e adesso posso dire che il loro responso è molto incoraggiante. Ho iniziato un lungo processo di riabilitazione nel quale mi sto impegnando al massimo. In ogni caso, la situazione di oggi non ha nulla a che vedere con quella del 2016. Occorre solo pazientare e lasciare al mio ginocchio il tempo di recuperare al 100%».
Nell’immaginario collettivo, un menisco guarisce velocemente. Basti pensare a Zurbriggen, a Baresi, al suo ginocchio sinistro. Perché questa volta sarà necessario aspettare così a lungo?
«Gli esami hanno rivelato una nuova lesione del mio menisco interno destro.
Hanno deciso di suturarla, e questo implica un certo periodo di immobilizzazione della gamba. I medici ne hanno approfittato per curare anche la cartilagine. Questi due interventi impongono di aver pazienza e di andarci piano. Ecco perché non potevo neanche caricare il peso sulla gamba quando camminavo con le stampelle. In ogni caso, questa operazione avrei dovuto farla comunque, per il mio benessere a lungo termine. Si tratta di un intervento riparatore. Da questo punto di vista, è molto più importante di quelli del 2020 che miravano a togliermi dolori e fastidi che si trascinavano da alcuni anni».
Quando pensa di poter tornare in campo a competere in un torneo?
«Secondo i medici, potrei iniziare a correre senza problemi a gennaio e poi tornare poco alla volta sul campo da tennis. [ sorride ]. Del resto, loro non lo sapevano, ma io avevo già giocato un po’ con i miei figli. Poi passerò a un vero e proprio allenamento e potrò iniziare un esercizio fisico che assomigli al tennis, con passi laterali e appoggi complessi, verso marzo o aprile. A quel punto sarà necessario rimettere in sesto tutta la condizione generale del mio corpo, adeguandola alle complessità del tennis e all’altissimo livello di intensità fisica richiesta. Insomma, penso di poter tornare a gareggiare nell’estate del 2022.
Ma i prossimi 4-5 mesi saranno determinanti».
Proviamo a proiettarci nel futuro, alla prossima estate. Quali sarebbero le sue
ambizioni in proposito?
«Prima di rispondere, vorrei dire che mi sono sottoposto a questa operazione per poter sciare con i miei figli, e per giocare a calcio o a tennis con gli amici nei decenni a venire. La mia prima motivazione era quella di rimettermi in forma per la mia vita personale, ma volevo affrontare questa riabilitazione così impegnativa con il corpo e la mentalità di uno sportivo al top. Sarei stato capace di impegnarmi con tutto me stesso nella rieducazione fisica due o tre anni dopo il pensionamento?
Non saprei. Per quanto riguarda le mie ambizioni, potremmo sintetizzarle così: voglio vedere un’ultima volta ciò di cui sono capace come tennista professionista.
Mi batto per questo e quindi sono molto motivato. Sento tutto il sostegno dei miei familiari e della mia squadra. Tutti vorrebbero che io dicessi addio alla mia professione a modo mio e su un campo da tennis».
Lo scopo del progetto è dire addio giocando?
«Esatto. E, se devo spingere oltre questo ragionamento, posso aggiungere che tornare a giocare nel 2022 o nel 2023 non fa poi una grande differenza.
Quarant’anni? Quarantuno? È la stessa cosa. La questione va posta in altri termini: riuscirò a continuare a farmi del male giorno dopo giorno? Oggi, se devo dar retta alle mie sensazioni, dico di sì. Quindi devo affrontare le cose un passo alla volta.
Si tratta di una sfida in più. Ne ho affrontate molte nel corso della mia carriera, talvolta senza che il grande pubblico se ne rendesse conto. E, benché io sappia perfettamente che la fine è vicina e che dovrò ritirarmi dal tennis, voglio cercare di giocare ancora qualche partita importante. Non sarà facile, ma voglio provarci».
Potremmo separare i suoi fan in due categorie: quelli che non riescono a immaginare un Roger Federer che gioca ma non vince, e quelli il cui piacere non dipende dai suoi risultati. Lei comprende questa contrapposizione di vedute? [ Riflette]. «Anch’io sono un grande appassionato di sport e penso che ogni atleta debba scegliere per sé. Si tratta di una decisione profondamente personale. In assoluto, non esiste mai un momento buono per ritirarsi. Esiste solo il momento giusto per ogni sportivo. In fondo, quale immagine conserverà di me la gente? L’ultimo set disputato a Wimbledon nel luglio scorso o i miei titoli del Grande Slam? Oppure quello che hanno provato guardandomi giocare? Io scommetto sulla seconda. Da qualche anno, quindi, mi sento molto rilassato sull’argomento. Ma capisco quello che provano i miei fan. Del resto, è proprio per loro che oggi volevo darvi mie notizie: penso che si meritino di conoscere il mio stato d’animo e le mie speranze. Sa, in fin dei conti sarebbe molto più semplice dire: ‘Ho dato molto e ho ricevuto molto’.
Basta così. Ma il mio modo di ringraziarli è anche dare tutto me stesso per tornare ancora una volta a giocare. Si meritano qualcosa di meglio dell’ultima immagine che ho lasciato loro sul campo da gioco quest’anno».
Lei è riuscito ad arrivare ai quarti di Wimbledon con un menisco rotto. Non è una constatazione incoraggiante?
«A Halle, contro Félix Auger-Aliassime, mi sono reso conto immediatamente che la mia partecipazione a Wimbledon non sarebbe stata quella che speravo. Anche senza conoscere ancora la natura della lesione, sapevo che sarei stato molto limitato nei movimenti. Quando però punti tutto su un torneo – senza dubbio come è accaduto a Rafa al Roland Garros – è normale accantonare i problemi e mettercela tutta. Poi, ovviamente, speri sempre nel miracolo… C’è sempre una piccola possibilità, no? Che cosa sarebbe successo se avessi avuto la meglio nel tie-break del secondo set contro Hurkacz? Quando sei più debole, ti aggrappi a tutto quello che puoi: le tue vittorie del passato, la conoscenza del campo da gioco. Con un minimo di buonsenso, mi sono reso conto di non aver vinto pressoché nessun punto a Wimbledon, pur difendendomi bene.
Beh, quando arrivi a fine corsa e sai che hai un problema, le cose si fanno complicate, soprattutto quando giochi contro i migliori. Dopo, la mia difficile partecipazione a Wimbledon ha dimostrato che ho sempre saputo adattarmi e giocare a un alto livello pur avendo un handicap. Infine, rispetto a tutta la strada percorsa in precedenza, dovevo mettercela tutta e provarci».
Abbiamo ancora il diritto di immaginare che Roger Federer torni a brillare a Church Road?
«Se mi sono impegnato a fondo nella riabilitazione è perché c’è una possibilità che io possa tornarvi. Se sto continuando il rafforzamento muscolare facendo bici, piscina, esercizi d’equilibrio; se ho spinto per irrobustire la parte superiore del corpo fin da quando usavo le stampelle, è perché ci credo. Tornerò a giocare in un piccolo torneo o in uno più grande? Non lo sa nessuno, né i medici né io. Ma io mi sto battendo per riuscirci. Siamo chiari: la mia vita non sarà un fallimento se non tornerò più a giocare una finale del Grande Slam. Ma il mio ultimo sogno sarebbe quello di riuscirci. Io ci credo ancora. Credo a questo tipo di miracoli.
L’ho già vissuto in passato. La storia dello sport è piena di esempi di questo tipo.
Sono anche realista, in ogni caso: si tratterebbe di un miracolo enorme. Nello sport, tuttavia, i miracoli accadono».