la Repubblica, 18 novembre 2021
Sul caro prezzi
Sarà in gran parte il mercato del lavoro a determinare se il forte aumento dei prezzi di questi mesi rimarrà una fiammata temporanea oppure un fenomeno duraturo. In tutta Europa ci sono segnali di tensioni nel mercato del lavoro. In Germania un’impresa su tre (era una su quattro a inizio estate) oggi lamenta colli di bottiglia nella ricerca di personale tanto nel manifatturiero che nei servizi. Non è più solo un problema di lavoro qualificato, mancano anche lavoratori a basse qualifiche. Il direttore dell’Agenzia del Lavoro Federale tedesca sostiene che mancano all’appello almeno 400.000 immigrati di cui si ha urgente bisogno per riempire i posti vacanti. Nel Regno Unito ci sono 4 posti vacanti ogni 100 occupati, un record storico. Manca anche qui il lavoro poco qualificato soprattutto nel turismo, nelle costruzioni e nella cura degli anziani, tant’è che sotto le pressioni di imprese e famiglie, alla disperata ricerca di colf e badanti, il governo ha fatto passi indietro rispetto alle chiusure imposte con la Brexit nei confronti degli immigrati.
In Italia il tasso di posti vacanti è al livello più alto da quando questo indicatore viene pubblicato dall’Istat. L’ultima rilevazione Excelsior parla di un 40% di imprese che hanno difficoltà nel reperire manodopera, il 30% in più che prima della crisi.
Questo aumento si spiega con la “mancanza di candidati” a tutti i livelli di istruzione piuttosto che con la loro inadeguatezza. Anche la Pubblica amministrazione fatica a reclutare nonostante procedure concorsuali spesso poco selettive.
Quali spiegazioni? Il calo di candidati poco qualificati potrebbe essere associato alla paura del contagio sul luogo di lavoro e negli spostamenti.
Questo spiegherebbe anche perché le difficoltà di reclutamento siano aumentate insieme al diffondersi di varianti del virus più contagiose. Un altro indizio di questi timori è il fatto che siano soprattutto mansioni esposte maggiormente al contatto col pubblico quelle in cui c’è maggiore carenza di manodopera.
Ma il cambiamento forse più eclatante nel mercato del lavoro è la Great Resignation, l’ondata di dimissioni volontarie registrata in molti Paesi dell’area Ocse. Negli Stati Uniti sono 20 milioni tra aprile e ottobre di quest’anno, con un incremento del 20% rispetto al 2019; in Italia sono aumentate del 10 per cento rispetto al livello pre-crisi; numeri simili si registrano ovunque nell’area Ocse.
Come spiegare questo fenomeno completamente inaspettato? Potrebbe anch’esso essere legato alla paura del contagio, ma non tutte le dimissioni volontarie sfociano in non-occupazione: in molti casi si cambia lavoro. Una spiegazione è che con il lavoro in remoto si può cambiare impiego senza spostarsi dal divano di casa, rispondendo a offerte di lavoro anche a centinaia di chilometri di distanza e iniziando il nuovo lavoro interamente online. E un alto numero di posti vacanti non riempiti rende più facile trovare un impiego per chi vuole cambiare lavoro. Un’altra spiegazione avanzata da diversi economisti americani è che con il lavoro in remoto i lavoratori abbiano imparato ad apprezzare la libertà dagli orari di ufficio, e più in generale un regime di lavoro meno stressante.
Entrambi i fenomeni – la riduzione dell’offerta di lavoro poco qualificata e l’ondata di dimissioni – dovrebbero spingere verso l’alto il costo del lavoro.
Si dovranno infatti offrire salari più alti per convincere persone altrimenti riluttanti a tornare al lavoro e competere con altre imprese nella ricerca di personale.
Sin qui gli aumenti dei salari sono stati piuttosto contenuti in Europa. Negli Stati Uniti, l’unico Paese per cui sono disponibili dati sul terzo trimestre 2021, c’è stata invece un’accelerazione. È dunque possibile che, a differenza che nei periodi di ripresa dopo la Grande Recessione del 2008-9, questa volta la ripresa sia accompagnata da una spinta all’aumento dei salari. Bene se questo fosse un aggiustamento una tantum legato al maggiore potere contrattuale dei lavoratori. Male se si dovessero mettere in moto spirali salari-prezzi-salari, una delle incognite dei banchieri centrali in questo momento.
Dopo lo shock della Grande Pandemia la politica dovrebbe facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoro per incoraggiare la riallocazione di manodopera verso i settori meno impattati. Ma in Italia, dopo aver perso mesi nel discutere di come bloccare i licenziamenti, ora si continua a finanziare estensioni della cassa integrazione, che sussidia i posti di lavoro anche in imprese senza futuro, anziché della Naspi, che sussidia i lavoratori che cercano impiego. Inoltre si procede come lumache nella regolarizzazione degli immigrati che darebbe a molte imprese e famiglie i lavoratori regolari di cui avrebbero bisogno. E non si interviene sulle regole del reddito di cittadinanza che scoraggiano la ricerca di lavoro. Su tutti questi fronti è necessario un cambio di passo.