La Stampa, 18 novembre 2021
Le donne del Risorgimento
Ogni donna che guarda dalla galleria allestita al Museo del Risorgimento di Torino è stata, nel tempo, la spalla di qualcuno. E solo quello.
La donna di Garibaldi, l’amante di Mazzini, la confidente di Alfieri e non importa quanto avventurosa possa essere stata la vita, quanto movimentata l’attività sociale, quanto prezioso il lavoro: la storia le ha raccontate per secoli come amorevoli presenze. Senza una definizione, un proposito o una realizzazione che non fosse il successo dell’uomo che si prendeva, giustamente, la ribalta. E invece no e non perché nell’intero secolo preso in considerazione dalla mostra «Anita e le altre» (aperta da domani) l’emancipazione non fosse nemmeno un’idea, ma proprio perché le protagoniste di quell’epoca non erano affatto così.
Anita Garibaldi non è sempre stata morente, se ne è andata giovane, vero, in una notte da film, in fuga dai nemici, trainata su un materasso, ma non è stata solo ragazza che non voleva lasciare il suo amore. Chissà come mai ci è arrivata come se fosse nata in Irlanda con i ricci lunghi e la carnagione chiarissima, invece è nata in Brasile e in mostra c’è la miniatura del suo unico ritratto dal vero, è un prestito che arriva da Milano e normalmente sta chiuso in un deposito, quindi un’immagine rara con cui ci si confronta poco. Non somiglia all’idea di lei che circola, qui la vera Anita si sovrappone alle fantasie, «alle fake che ce l’hanno consegnata preraffaellita e unicamente compagna», come spiega il direttore del museo Ferruccio Martinotti: «Accendiamo la luce su queste figure, smettiamo di guardarle come se non potessero avere la statura dei Garibaldi o dei Mazzini. Non ha senso. Non fanno un altro campionato, giocano decisamente un altro sport e non stanno dietro, ma come minimo a fianco».
Sara Levi Nathan (1819-1882) non ha solo custodito gli scritti di Mazzini, ne ha acquisito i diritti, ne ha garantito la diffusione e non ha aperto un salotto mondano a Londra, piuttosto un punto di ritrovo per esuli nel momento in cui riunire una comunità era vitale.
Se fossero tutte virtuose, intellettuali o tutte eroine rivoluzionarie, sarebbero poco credibili, invece la mostra si allontana dallo stereotipo delle barricate e presenta principesse e brigantesse con lo stesso identico spazio. «Della brigantessa mi sono proprio innamorato, per quel piglio fiero», il direttore le ha volute differenti perché «più ci si allontana da ipotetici canoni e più si evitano i pregiudizi». Alcune escono dal loro tempo ed entrano direttamente nel nostro, come Cristina Trivulzio di Belgioioso (1808-1861): tolto qualche drappo potrebbe stare a suo agio più di 100 anni dopo. Forse persino adesso. Era ricca, però si guadagnava da vivere lo stesso, dipingeva, vendeva, teneva a un’indipendenza su cui si costruivano i giorni. Lo dice lei stessa: «Le donne che ambiscono a un nuovo ordine di cose debbono armarsi di pazienza, contentarsi di preparare il suolo, di seminarlo, ma non pretendere di raccoglierne la messe. La presente generazione non può se non preparare giorni migliori alle generazioni future». Lo hanno fatto, hanno seminato e per un’eternità «le generazioni future» non se ne sono accorte.
In questa mostra le donne del Risorgimento parlano. Tutte. «L’organizzazione delle visite agli ospedali è caduta naturalmente su di me. Tutti si rivolgono a me sebbene io non abbia nessuna direzione, tuttavia vedo che non si potrebbe fare altrimenti»: Costanza Fieri d’Azeglio (1793-1862), una che in un solo posto ha strutturato un rifugio per i feriti, un asilo, una scuola elementare e un corso di formazione per giovani lavoratrici. Qui le storie si raccontano in proprio, uscite indenni dalle deformazioni di secoli, «quasi spaventa l’idea che sembrino molto più coraggiose e determinate di quanto possiamo essere noi»: la storica Daniela Orta, che ha collaborato alla ricerca, guarda dritto negli occhi dei ritratti, come se stesse parlando con loro. «Oggi è pieno di donne che lottano e si prendono dei rischi, le vedo, le sento, però resto comunque stupita e conquistata dalla modernità delle donne del Risorgimento, da quanto abbiano cercato di stare alla larga da ogni modello limitante».
La contessa di Castiglione (1837-1899) è stata il tramite tra Cavour e Napoleone III, ha perorato la causa alla corte dell’imperatore, certo, è anche stata una donna costretta a essere sempre bella anzi «bellissima», come il nome che si portava addosso e ha finito con l’isolarsi per evitare i giudizi. Certi viaggi sono andati ben oltre il Risorgimento.