La Stampa, 18 novembre 2021
Russia, l’ultimo assalto al Memorial
«Una metà era in prigione, e l’altra metà la sorvegliava». Questo era la Russia sovietica secondo una definizione che ogni russo è abituato a ripetere per descrivere, ancora oggi, lo stalinismo più cupo. E bisogna ringraziare l’organizzazione non governativa «Memorial», fondata alla fine degli anni Ottanta da un gruppo di dissidenti tra cui il fisico Andrey Sakharov e sua moglie Elena Bonner, se col tempo quell’umanità indistinta ha potuto ritrovare i suoi nomi, le sue storie, una ricostruzione paziente dei singoli destini. Fino a oggi, perché una scarna comunicazione della Corte Suprema della Federazione Russa ha annunciato di voler chiudere Memorial per «violazioni sistematiche della legge che regola la presenza nel Paese di agenti stranieri», indicando la data dell’udienza nel prossimo 25 novembre. Una notizia che si è abbattuta come un’ascia persino nella sonnolenta società civile russa, non sempre reattiva alle istanze libertarie che vengono da frange ancora piuttosto isolate dell’opposizione. Stavolta però no, le cose sono andate diversamente: dall’11 novembre scorso, quando la nota della Corte Suprema è stata diffusa – tra l’altro in modo semplice e sommesso – dal sito della stessa Ong, un tam tam internazionale ha cominciato a correre sulle reti sociali e nelle comunicazioni private. «Ma davvero chiudono Memorial?», «Ci sarà un errore», «Non è possibile», «Qualcuno avrà capito male». Invece è vero: le autorità russe sono convinte che le attività della Ong siano ispirate da agenti stranieri e che contengano tutti i segnali «per giustificare estremismo e terrorismo».Corrono alla memoria i nomi – e i volti – di attivisti come Zarema Sadulayeva e suo marito, ritrovati morti nei pressi della capitale cecena Grozny nell’estate del 2009; come Natalja Estimirova, grande amica di Anna Politkovskaja, uccisa poco tempo prima per il suo impegno a favore delle donne e dei ragazzi che venivano rapiti nella notte per ingrossare le file dell’estremismo islamico nella fase della cosiddetta normalizzazione putiniana del Caucaso; come Andrey Mironov, ucciso insieme al giornalista italiano Andrea Rochhelli nella regione di Donetsk nel 2014. Tutti attivisti di «Memorial», che alternavano il lavoro di ricerca, di raccolta dei dati di persone scomparse o perseguitate, all’impegno sul campo come traduttori, assistenti di giornalisti, guide coraggiose che non esitavano a mettersi in pericolo perché il loro Paese – la Russia – non finisse in mano ai divoratori di diritti. Anche pensando a loro, oltre 200 rappresentanti dell’Accademia delle Scienze di Mosca hanno firmato nei giorni scorsi una lettera aperta: «Il tentativo di distruzione di Memorial – si legge – è un tentativo di privare il Paese della sua memoria, cosa che non possiamo permettere se vogliamo evitare il ripetersi di un’era di mostruose repressioni». È solo grazie al lavoro di tanti attivisti e intellettuali «che non ci è stato permesso di dimenticare i milioni di persone innocenti che sono morte, che sono finite in fosse comuni, che sono state giustiziate senza processo o represse per le loro convinzioni». La scrittrice Lyudmila Petrushevskaya – in un durissimo post su Facebook – ha definito l’attacco a Memorial come un «assalto alla memoria»: «Mi viene tolto Memorial, ovvero il ricordo di coloro che sono stati condannati e giustiziati, di coloro che sono stati gettati sotto un camion o che sono morti di fame, di coloro che si sono congelati dopo marce sfinenti per strade dimenticate o nei trasferimenti da un campo di prigionia a un altro, di coloro che sono stati torturati, o stanno in prigione a causa di carte e documenti falsificati, di migliaia di prigionieri che le autorità hanno sempre giudicato pericolosi». Se chiude Memorial, Petrushevskaya si è detta pronta a restituire un premio letterario che il presidente Putin le aveva conferito nel 2002.Accolta con cautela nel momento della sua fondazione, in nome della necessità di fare i conti con il passato stalinista, Memorial non è mai piaciuta al Cremlino, che però fino ad oggi ha sempre preferito tollerarla per evitare di entrare in collisione con intellettuali e accademici non necessariamente né sempre ostili alle politiche di Vladimir Putin. Oggi però qualcosa deve essersi spezzato, e sono in molti a dire che la scelta di chiudere Memorial, se dovesse essere presa per davvero, segnerebbe un punto di non ritorno nella storia della Russia contemporanea.