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 2021  novembre 18 Giovedì calendario

Nessuno sa che fine a fatto la tennista cinese Peng Shuai


«Che fine ha fatto Peng Shuai?» Come una pallina da tennis, questa preoccupazione rimbalza tra gli atleti e le atlete di tutto il mondo. Ma nel divenire hashtag il suo rumore si fa sempre più sordo. Ultima, ma solo in ordine di tempo, l’ex numero uno Naomi Osaka, si dice «sotto choc» per la sua scomparsa. Ma prima c’erano stati Novak Djokovic, Chris Evert e Martina Navratilov e le federazioni internazionali dell’Atp e della Wta. E prima ancora le femministe cinesi che ne hanno fatto una campagna da proiettare sugli edifici di ogni angolo della Cina: «Che fine ha fatto Peng Shuai?», «Pretendiamo il suo ritorno», «Peng Shuai siamo al tuo fianco».
Quattordicesima al mondo come massimo risultato nel ranking Wta del singolare, ex numero uno di doppio e già vincitrice di due titoli del Grande, il 2 novembre scorso Peng Shuai aveva pubblicato un lungo post personale su Weibo, un social cinese paragonabile al nostro Twitter. Raccontava di essere stata stuprata e costretta ad intrattenere una relazione segreta da Zhang Gaoli, vicepremier dal 2013 al 2018, all’epoca uno dei sette uomini più potenti della Cina e oggi in pensione. «Non ho registrazioni, non ho video, ho solo la mia storia». «So bene che tu, alto ufficiale Zhang Gaoli, non hai paura. Ma anche se è come scagliare un uovo su una montagna o come una falena che si lancia verso la fiamma, non posso fare a meno di raccontare la verità su di noi». Nessuno aveva mai osato accusare un politico così alto in grado.
I due si sarebbero conosciuti e amati prima che lui diventasse vice premier, poi Zhao si sarebbe negato per tutta la durata del suo mandato fino a quando, andato in pensione nel 2018, non l’avrebbe ricontattata tramite la federazione di tennis per giocare un doppio con sua moglie. In quell’occasione l’avrebbe portata in camera sua dove lei l’avrebbe rifiutato, «senza riuscire a smettere di piangere». L’avrebbe poi costretta a una relazione segreta e malata, lasciandola umiliare da sua moglie in sua assenza. «Mi sentivo uno zombie, fingevo ogni giorno di essere una persona diversa. Non sapevo come ero arrivata a questo punto, e non avevo il coraggio di morire».
Il suo, è il grido di una vittima di violenza e di abusi psicologici. Per questo suona ancora più assordante il silenzio che ne è seguito. Il post, censurato in poche decine di minuti, ha continuato a circolare online come screenshot, ma il suo nome, quello del politico e, per qualche ora, persino la parola tennis, impossibili da cercare sui motori di ricerca cinesi. Poi più nulla. Il portavoce del ministero degli Esteri ha negato di essere a conoscenza della situazione, l’account Weibo di Peng risulta attivo ma rifiuta commenti e messaggi diretti, e nessuno è più riuscito a mettersi in contatto con lei. È l’ennesimo tentativo di #metoo cinese, che vive solo – e brevemente – sui social.
Il fenomeno purtroppo è talmente radicato nella cultura cinese, che si evita persino di affrontarlo. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2013, circa la metà degli uomini cinesi ha usato violenza psicologica o fisica sulla propria compagna. Numeri non troppo differenti da quelli di altre parti del mondo, certo. Ma particolarmente grave è che in Cina il 72 per cento degli uomini che hanno abusato di una donna non abbia subito nessuna conseguenza legale. Oggi le donne guadagnano in media il 40 per cento in meno degli uomini e faticano ad arrivare a ruoli di potere. C’è una sola donna tra i 25 membri del politburo e la moglie del Presidente, Peng Liyuan, ha dovuto abbandonare la sua carriera di cantante di successo per non far ombra al marito. Inoltre, come nell’epoca imperiale, a un uomo di potere non basta una sola moglie.
Le concubine di oggi si chiamano ernai, letteralmente «seconda donna», e sono molte più di quanto si pensi. Il 60 per cento dei funzionari ne mantiene «almeno» una, secondo una ricerca dell’Università del popolo. «Gli uomini con più potere sono quelli che sanno controllare fisicamente ed emotivamente le proprie donne. Il massimo è privarle della loro libertà e poi abbandonarle», scrive la professoressa di antropologia culturale Zheng Tiantian. Peng Shuai ha avuto il coraggio di rompere il silenzio. Non sappiamo con che conseguenze. —