la Repubblica, 17 novembre 2021
Biografia di Alberto Zangrillo
Non è casuale che, a closing ultimato Andres Blazquez ed Alberto Zangrillo abbiano scelto di farsi fotografare a Milano da Savini, lo storico locale in Galleria, con alle spalle il Ritratto del Futurismo di Filippo Marinetti. Quel quadro è evocativo: il Genoa è proiettato nel futuro. I diciotto anni della gestione Preziosi, con tutto il bene o il male che ogni tifoso ha il diritto di pensare, appartengono a tutti gli effetti al passato, ora la società rossoblù guarda avanti e lo fa grande fiducia. Jeans e abbigliamento casual Blazquez, il manager di riferimento di 777 a Genova, in completo classico grigio Zangrillo: dopo le firme dal notaio ora il Genoa dipende da loro.
Sarò il presidente di tutti i genoani potrebbe essere lo slogan di Zangrillo. Una figura non divisiva come purtroppo lo stati molti presidente del Genoa ed in particolare Preziosi che aveva da tempo spaccato la tifoseria. È decisamente fuori strada chi lo considera vicino all’elitè. E se c’è uno cosa che non ha mai gradito è essere presentato come il “medico di Berlusconi”. Un assioma che lo irrita: “Se è per questo ho anche tanti altri pazienti famosi e forse più amici di sinistra che di destra”. Bastava essersi seduti con lui anche una sola volta ad un tavolo di quel covo rossoblù che l’Osteria della Beccassa per apprezzare la sua capacità di essere sempre a suo agio in qualsiasi situazione e con qualunque interlocutore. Bastava una telefonata del suo grande amico Pippo Spagnolo per farlo partire da Milano per andare a cena a Torriglia e rientrare poi a notte fonda a Milano. Ma parlare di Genoa e fantasticare un futuro migliore lo appagava. Ora la possibilità di quel futuro migliore dipende anche da lui. Sarà un presidente estremamente attento agli interessi del Genoa e al fatto che tutte le buone intenzioni che hanno animato questo passaggio di proprietà non vengano tradite.
Con Spagnolo, leggendario tifoso genoano, si erano conosciuti in ritiro. Ed erano diventati subito amici. “Per noi era come uno di famiglia, soprattutto mio figlio Andrea gli era attaccatissimo”. Ai figli ha trasmesso il suo stesso grande amore per il Genoa: “Fu una grande emozione quando li portai per la prima volta allo stadio e non dimenticherò mai la loro espressione estasiata nel guardare la Gradinata Nord”. E ancora oggi non smette di essere grato, a sua volta, al padre: «Ringrazio lui se sono diventato genoano».
Lasciò Genova nel 1972, dopo le elementari alla Maria Mazzini col maestro Lazzeroni e le medie al Colombo (compagno di banco Giancarlo Vinacci) perché il padre, dirigente della Banca Commerciale, era stato trasferito nella sede centrale di piazza della Scala. Non fu tanto traumatico il distacco dalla città quanto quello dalla squadra del cuore che aveva iniziato a seguire andando con gli amici a vedere le partite dal Righi. E non ci fu domenica che, in presenza o con l’orecchio attaccato alla radiolina, non si sia rovinato il fegato per seguire le perizie del Vecchio Grifone. Professore ordinario da vent’anni, ha sempre esercitato la professione al San Raffaele, dimostrando anche in questo un grande senso di appartenenza. In reparto raccontano che non sono rare le mattine in cui appare cantando: “Aprite le porte che passano i rossoblù...”. Oppure: “È la stella che vogliam...”. In virtù del suo rapporto privilegiato con Berlusconi aveva cercato di agevolare l’acquisto di Lapadula che nel Pescara aveva segnato 27 reti. Sembrava fatta ma si era messo di mezzo il Milan, Zangrillo provocò il Cavaliere: “È tutto tatuato, uno col tuo stile non prenderà mica un tamarro simile?”. Niente da fare, Berlusconi lo acquistò comunque.