Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  novembre 17 Mercoledì calendario

Le confessioni di Alex Schwazer

Dopodiché ha ripreso a vivere. Marciando in direzione ostinata e pulita, rimettendo in sesto il cuore che lentamente si crepava, ricostruendo pezzo dopo pezzo un futuro che sembrava franato via per sempre. Alex Schwazer ha talmente ripreso a vivere da scriverci un libro, sulla sua vita. Del ragazzo che era e dell’uomo che è diventato. Del grande, grandissimo atleta che tutti abbiamo ammirato e dell’inferno attraversato causa doping, prima della silenziosa rinascita – sportiva e umana – condivisa con il suo allenatore e mentore: il professor Alessandro Donati.
Dopo il traguardo, edito da Feltrinelli, nelle librerie da qualche giorno, è il titolo che Schwazer ha dato alla sua storia, al suo doloroso racconto. Un percorso ben più lungo – e drammatico – di quei 50 chilometri di marcia che pure lo consegnarono alla gloria dello sport italiano nel 2008, quando riuscì a infilarsi intorno al collo la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Pechino. Il baratro, le gole oscure, gli incubi esistenziali, erano di là da venire.
«È una storia di cadute e di redenzioni, di rinunce e di rinascite. Parlo solo della mia vita e mi presento come uomo, non come sportivo. Ho voluto chiudere i conti con il passato. È un resoconto sincero, schietto e fedele di ciò che mi è capitato». E gliene sono capitate tante. Alcune cercate, volute. Diverse altre subite, incolpevolmente, talmente feroci – certe cose – da uccidergli la seconda carriera di atleta. Tra le cose cercate e volute c’è il doping. Il tunnel dal quale ha rischiato di non uscire più. Facile immaginare che sia questo – assieme ai passaggi sulla storia d’amore con la campionessa di pattinaggio Carolina Kostner – il capitolo più atteso e scottante.
Siamo ai mesi che precedono l’Olimpiade di Londra 2012, Schwazer è da tempo fuori controllo, abbandonato, lasciato solo con i propri demoni. «Ragionavo da tossico – scrive – Anzi, sragionavo. Ed ero pronto a mentire, perché doparsi vuol dire anche mentire». Infatti mente a tutti. Per procurarsi le sostanze va da solo in Turchia. «Innsbruck-Vienna, Vienna-Antalya. A Carolina – scrive ancora – e ai miei genitori ho detto che sarei andato a Roma, alla Fidal (la federazione italiana di atletica leggera, ndr). Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte, per evitare che partisse il messaggio della compagnia turca».
L’ex Kostner
Io e lei eravamo in sintonia. La mia solitudine era molto simile alla sua
Qualche tempo dopo Schwazer viene beccato. La soffiata giusta arriva proprio da quello che poi sarebbe diventato il suo coach: Sandro Donati. Crolla tutto, Alex confessa in lacrime, restano le macerie. Schwazer viene squalificato, i carabinieri lo sospendono dal servizio. Non può salvarsi, è inevitabile, nemmeno la relazione con la Kostner. «Carolina mi ha mandato un messaggio per invitarmi a una festa a Ortisei, per l’argento di Goteborg: il suo primo, vero, grande successo (...) Dopo una pizza e due bottiglie di vino bevute quasi da solo, le ho rovesciato il drink addosso (...). Abbiamo fatto le cinque del mattino. Eravamo in sintonia. La mia solitudine era molto simile alla sua».
Era. Ora la solitudine non c’è più. Ora c’è Kathrin («La conosco da una vita, ho sempre pensato che fosse la ragazza più bella di Vipiteno»), sposata nel 2019. Ci sono Ida e Noah, i suoi due figli. «Mia moglie ha definito “stupendo” il libro. E in quel momento mi sono sentito più leggero, orgoglioso. Perché di tante cose non avevamo mai parlato, altre sapevo che non sarebbero state piacevoli per lei».
E c’è la battaglia giudiziaria vinta, il risarcimento tardivo: l’ordinanza del giudice Walter Pelino del tribunale di Bolzano, nove mesi fa. Schwazer non si era dopato di nuovo, nel 2016. Schwazer era innocente, vittima del più infame dei complotti. Lo sport lo ha «ucciso», lo ha voluto far fuori da Rio e da Tokyo, Eppure Schwazer è rimasto vivo. E dentro. Dentro la vita.