La Stampa, 17 novembre 2021
In Italia si guadagna troppo poco. Lo dice il commissario Ue Nicolas Schmit
L’Italia non avrà l’obbligo di introdurre il salario minimo, ma il basso livello dei salari «va affrontato». Giusto confermare il reddito di cittadinanza, anche se è importante introdurre delle «condizioni». E sulle pensioni è accettabile una soluzione transitoria, purché il sistema torni a essere sostenibile nel medio-lungo periodo. La Commissione europea sta analizzando la bozza di manovra del governo e il commissario Nicolas Schmit, che ha la delega al lavoro e ai diritti sociali, offre le prime valutazioni nei settori di sua competenza.
Andrea Orlando, ministro del Lavoro, ha aperto alla possibilità di introdurre il salario minimo, anche se la direttiva Ue non lo imporrà all’Italia: ha ragione lui oppure le sigle sindacali che si oppongono?
«Non spetta alla Commissione decidere per gli Stati e non è mia intenzione cercare di convincere un governo a introdurlo. So che l’Italia sostiene la proposta e questo mi fa molto piacere. Non voglio interferire. Mi limito solo a far notare che l’Italia ha un sistema di contrattazione collettiva molto esteso, forse il più esteso dell’intera Ue, ma al tempo stesso ci sono salari molto bassi. Questo è un aspetto che va affrontato».
Il mercato del lavoro italiano – secondo la Commissione – è frenato dal “disallineamento delle competenze": è la carenza di manodopera qualificata a impedire il calo del tasso di disoccupazione?
«C’è un problema europeo di disallineamento delle competenze, più pronunciato in alcuni Paesi. In alcuni settori assistiamo a una carenza di manodopera e si tratta di un problema strutturale. Non lo potremo correggere nel giro di pochi mesi, ma è importante avere politiche del lavoro attive e aumentare gli investimenti nella formazione. Questo spetta alle autorità pubbliche, ma anche alle aziende. L’Ue è pronta a dare un supporto, come del resto succede con gli investimenti previsti dal Pnrr italiano. Si tratta di una questione che va affrontata massicciamente, attivamente e rapidamente. Deve diventare una delle priorità nei prossimi mesi e nei prossimi anni».
Il governo ha deciso di mantenere il reddito di cittadinanza, ma con alcuni correttivi, per esempio togliendo il sussidio a chi rifiuta per la seconda volta un’offerta di lavoro: lo strumento funziona?
«Credo sia uno strumento giusto per combattere la povertà e l’esclusione economica e sociale. La Commissione lo ha sempre difeso e per questo sostengo il governo nella sua decisione di mantenerlo. Ma sono d’accordo nel dire che devono esserci delle condizioni. Bisogna per esempio fare in modo che i beneficiari seguano corsi di formazioni e vadano alla ricerca di un lavoro: solo così li possiamo aiutare a reintegrarsi nel mercato del lavoro e nella vita sociale per essere autonomi. Un reddito di cittadinanza è importante per prevenire la povertà, ma non ci si può limitare al sussidio».
Il governo Draghi sta discutendo con i sindacati la riforma delle pensioni: cosa chiede l’Ue?
«È molto importante è avere un sistema sostenibile. L’Italia ha sofferto la stagnazione, l’alta disoccupazione, soprattutto giovanile, e una scarsa crescita: questo non è negativo soltanto per l’economia, ma anche per il sistema pensionistico. L’Italia deve dunque tornare a un’economia di crescita, che crei lavoro e renda il sistema pensionistico sostenibile. Oltre alla sostenibilità c’è però anche una questione di adeguatezza: le pensioni devono consentire di vivere in modo dignitoso».
Con ogni probabilità ci sarà una soluzione tampone, in attesa di una riforma strutturale: è sufficiente?
«So che si sta parlando di una soluzione transitoria con le parti sociali e so benissimo che una riforma strutturale non può essere fatta in poco tempo. Per questo prendiamo atto della soluzione transitoria, ma l’importante è che si tenga un occhio sulle pensioni affinché il sistema resti sostenibile nel medio-lungo periodo e gli assegni garantiscano una vita dignitosa».
Voi continuate a chiedere di tornare alla riforma Fornero?
«Credo che ora spetti alle parti sociali e al governo trovare un accordo equilibrato su questo tema cruciale».
All’inizio di dicembre presenterete una proposta di direttiva per i lavoratori delle piattaforme online, come ad esempio i rider: è arrivato il momento di mettere dei paletti?
«Le piattaforme sono ormai parte della nostra economia, sono il risultato dello sviluppo tecnologico e nessuno le vuole chiudere. Ma ci sono molti punti di domanda: quali sono i diritti sociali dei lavoratori? Come sono classificati? Ci sono molte cause legali, anche in Italia, sul loro statuto. Non è sostenibile che siano esclusi da un salario minimo o dalla protezione sociale. Inoltre c’è una questione di parità di condizioni tra queste società e quelle più tradizionali che rispettano i diritti sociali dei lavoratori».
Su quali aspetti interverrete?
«Stabiliremo regole per classificare lo statuto dei lavoratori delle piattaforme, con criteri oggettivi per definire chi è di fatto un lavoratore dipendente. Creeremo una cornice per offrire sicurezza e diritti ai lavoratori, ma anche certezza giuridica alle piattaforme e per assicurare una concorrenza leale tra i vari modelli di business. Inoltre bisogna ridurre le differenze di trattamento che esistono tra gli Stati membri». —