Linkiesta, 17 novembre 2021
Signorini, l’aborto dei cani e la militanza scema
Non c’è una terza opzione, diceva Louis CK nel più definitivo minuto di monologo sull’aborto, qualche anno fa: o pensi che sia un assassinio, o pensi che sia come defecare. (Io, ve lo dico così potete smettere di leggere subito giacché mica leggete gente immorale, sono della seconda scuola di pensiero).
Non c’è una terza opzione, dico io. O siamo un paese che ha risolto tutti ma proprio tutti i propri problemi, e quindi può permettersi di montare uno scandale du jour su un conduttore televisivo che, nel corso d’un reality che le persone che possono permettersi pile del telecomando non scariche hanno smesso di guardare da una quindicina d’anni, dice «noi siamo contrari all’aborto», parlando al plurale come il mago Otelma e i non licenziati dalle elementari che si percepiscono non mammiferi e non binari; o siamo un paese così fragile da essere sì riuscito ad avere una legge sul divorzio quando i politici non erano degli scappati di casa, ma dei seri conservatori che dicevano che se fosse passato il divorzio allora le mogli degli elettori sarebbero scappate con le cameriere, ma da percepire ora in pericolo la legge sull’aborto ogni volta che un conduttore televisivo ci fa sapere che per lui quella pratica lì uccide bambini.
O è scemenza, o è lusso: decidete voi. Fatto sta che lunedì sera Alfonso Signorini ha espresso contrarietà plurale parlando dell’ipotetico aborto d’un cane, e martedì mattina le polemiste morali sapevano come passare la giornata. Dicendo che l’aborto è comunque un grande dolore (dio, so che non esisti, ma dammi comunque la continenza sennò su ’sta cosa del dolore mi parte un’invettiva che deve portarmi via la croce verde). Dicendo che guai a chi tocca la 194 (quella legge di merda che, se sei solvibile e vuoi star comoda, ti vieta di abortire in clinica, giacché l’aborto o lo controlla lo Stato o rischiamo che poi l’utero sia davvero mio). Dicendo soprattutto, giacché siamo molte cose ma soprattutto siamo adulte che argomentano come tredicenni, che se non hai un utero non puoi avere un’opinione sull’aborto.
A parte che sono abbastanza certa che, con la nuova prescrittività a considerare il genere come costrutto sociale, dire che Signorini non abbia un utero sia affermazione transfobica, eteronormativa, e forse persino maschiabiancacis. A parte questo, dicevo: ma quindi non posso occuparmi di come vedano trattati i profughi perché non sono profuga? Non posso interessarmi al fatto che nelle carceri vivano in maniera dignitosa perché non sono galeotta? Non posso stanziare fondi per gli asili perché non ho figli?
Vedo adulte citare Rachel Green, personaggio di telefilm degli anni Novanta, Rachel Green che diceva «no uterus, no opinion», e mi chiedo molte cose; cose che attengono ai consumi culturali degli adulti in un’epoca in cui essi fanno di tutto per non sembrare adulti, che attengono all’idea che per parlare di corvi si debba essere corvi, che attengono alla scemenza collettiva nell’epoca dell’epistemologia identitaria, ma soprattutto mi chiedo: possibile che nessuno di costoro che la citano come fosse la figlia naturale di Ludwig Wittgenstein e di Simone de Beauvoir, di Natalia Ginzburg e di AA Gill, possibile che nessuna di queste cagne di Pavlov si renda conto che Rachel Green, tra i personaggi di quella serie che non pullulava di giganti del pensiero, era la cretina per eccellenza?
Ormai sono diventata Richard Gere. Non nel senso che salgo sulle navi dei profughi, ma nel senso di quella scena di Pretty Woman in cui lui dice che sono molto rare le persone che hanno la capacità di stupirlo, e Julia Roberts risponde una cosa tipo «Beato te, la maggior parte mi sciocca a morte». Poche cose mi stupiscono, ma sono stupita che non si siano indignati gli antiabortisti. Uno (Alfonso Signorini) che, parlando d’un cane, nella convenzione narrativa denominata «il confessionale» (la parte del Grande Fratello in cui il concorrente parla con autori e conduttori), con un concorrente che di mestiere finge d’ipnotizzare gli ospiti televisivi (Giucas Casella), uno che in un contesto così sommamente kitsch dice «noi siamo contrari all’aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani» è chiaramente uno che sta parlando di questo assassinio d’infanti, e di questo dolore perpetuo per ogni donna che abbia voluto un raschiamento, e di questo trauma inflitto all’umanità tutta, di questa ferita dell’identità occidentale, che ne sta parlando come fosse una barzelletta sui carabinieri. L’aborto in ogni sua forma, anche quello dei cani.
Ma non c’è un Pillon che s’è offeso? Una Lucetta Scaraffia? Una Costanza Miriano? Possibile che la militanza scema di destra abbia lasciato l’esclusiva di questo delirio alla militanza scema di sinistra?
Niente, Mario Adinolfi ha addirittura detto «sposo le parole di Signorini», evidentemente convinto che donne o cagne pari siano, che ci vogliano divieti alla pillola del giorno dopo per le barboncine, che dove andremo a finire se le bulldog non vogliono più essere madri.
Non c’è una terza opzione: o siamo diventati tutti scemi, o facciamo di tutto per farlo credere a chiunque ci legga, ci ascolti, ci compri, e finisca per pensare che sai che c’è, al Grande Fratello non sono mica tanto più scemi di quanto lo siano gli intellettuali.