Corriere della Sera, 16 novembre 2021
Attenzione a Meta, un nome scivoloso
Meta , il nome che Mark Zuckerberg ha scelto per sostituire Facebook, è suggerito dal greco antico, come precisa il suo inventore, e significa «oltre». In realtà, in italiano, è uno dei quei termini passepartout (sostantivo e prefisso) dai mille significati, letterali e traslati, nobili e meno nobili. Si va dalla costruzione, monumento di forma conica o piramidale alla colonna: un’accezione di maestosità che risale agli antichi romani. Naturalmente «meta» è anche punto d’arrivo, destinazione, traguardo e, in senso figurato, scopo, obiettivo, fine da raggiungere… Nel rugby la «meta» è la marcatura che si ottiene posando il pallone ovale oltre la linea cosiddetta, appunto, di meta. Non è escluso che Zuckerberg abbia pensato a «meta» in questi due significati diversamente megalomani: quello imperiale e quello sportivo. Improbabile che nello scegliere il marchio abbia avuto presenti altre aree semantiche, un po’ meno (auto) celebrative e più nebulose. Per esempio, i dizionari italiani segnalano «meta» come tariffa imposta dall’autorità pubblica sulle derrate alimentari. Ma soprattutto si soffermano su una accezione attestata a partire dal Trecento, che ha sempre a che fare con la figura conica ma con valore non proprio solenne com’era presso i romani. Siamo in ambito contadino e dalla «meta» come mucchio di fieno ci si sposta facilmente alla «meta» come piccolo mucchio di letame. Tanto che un testo comico-popolare medievale, il Pataffio , recitava: «Una meta di bue fu la merenda», nel senso inequivocabile di merda. In un contesto di latrine, di nettacessi e di liquami, nella novella di Buffalmacco Boccaccio fa ironicamente entrare in scena un barone chiamato don Meta. E il commediografo cinquecentesco Anton Francesco Grazzini scriveva: «La casa pute in ogni loco, ricamata di squacquere e di mete» (differenziando così tra escrementi liquidi e solidi). Il famoso poeta Annibal Caro invitava gentilmente ad annusare «questa meta di gatta» e a contare «i cacherelli» dei topi, così come, passeggiando per Roma, Antonio Baldini si lamentava: «Quelle ch’io schiaccio sugli scalini sono mete d’uccelli ammonticchiate e incalcinate». Difficile immaginare che Zuckerberg, ribattezzando la sua creatura, consultasse i vocabolari storici italiani, ma, se come dicevano i latini «nomen est omen», dopo essere inciampato con Facebook in accuse morali, stia attento ora a non scivolare in qualcosa di peggio.