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 2021  novembre 16 Martedì calendario

STEVE BANNON, ABILE TROMBETTIERE E PESSIMO POLITICO - ERA CONVINTO CHE IL GOVERNO LEGA-M5S FOSSE DESTINATO A RIDEFINIRE LA POLITICA, COME GRANDE "ESPERIMENTO" DEL POPULISMO - E’ STATO ALLA GUIDA DI CAMBRIDGE ANALYTICA, LA SOCIETÀ CHE ESFILTRAVA ILLEGALMENTE I DATI DEGLI UTENTI FACEBOOK, PASSANDOLI POI ALLA CAMPAGNA TRUMP - CERCÒ DI FONDARE UNA SCUOLA DEL SOVRANISMO A TRISULTI, SOSTENUTO DA PEZZI DI VATICANO ULTRACONSERVATORE - NEL SUO LIBRO "FIRE & FURY", WOLFF SOSTIENE CHE FU STEVE BANNON A SUGGERIRE A SALVINI E DI MAIO DI SCEGLIERE UN PREMIER DI FACCIATA (CHE POI FU GIUSEPPE CONTE) -

1 - ARRESTATO BANNON, IL GURU CHE SPINSE SALVINI E IL M5S: “FATE L’ESPERIMENTO LEGA-GRILLINI, CAMBIERÀ LA POLITICA GLOBALE” Jacopo Iacoboni per www.lastampa.it Steve Bannon pensava che l’Italia in mano al Movimento di Casaleggio e alla Lega di Salvini fosse l’epicentro dell’«esperimento». L’esperimento populista.

O meglio, populista-sovranista. L’ex team manager della campagna elettorale Trump – quello che eredita la guida da Paul Manafort nell’agosto del 2016, quando Trump è nettamente indietro rispetto a Hillary Clinton, e lo porta incredibilmente alla vittoria – nei suoi frequenti tour da noi arrivò a teorizzare questo: «L’Italia è il centro dell’universo politico. State ridefinendo la politica nel ventunesimo secolo».

Nel 2018, l’anno del trionfo dei grillini e della Lega in Italia, Bannon era praticamente accampato tra Roma (dietro piazza Navona) e Milano, tanto frequenti erano le sue visite. Ora che viene (ri)arrestato (per oltraggio al Congresso e per aver rifiutato di testimoniare di fronte a una Corte o un’autorità legittimata), si potrebbe scrivere un’enciclopedia, tanto controverso e esplosivo è il suo personaggio (si veda, per esempio, il libro di Joshua Green, Il diavolo – Devil’s Bargain).

Ma per molto di più che un reato d’opinione. Ufficiale per sette anni nella Us Navy (nei sottomarini sotto l’oceano), banchiere d’affari in Goldman Sachs, produttore di film e documentari politici super  faziosi a Hollywood, gamer su Internet, e infine agit prop con il sito di informazione anti-mainstream Breitbart, e soprattutto consigliere della più aggressiva, roca e sovranista stagione di Donald Trump, Bannon è un americano vulcanico dal faccione cordiale, ma è anche l’uomo di una destra nuovissima e pericolosissima, capace di citare Gramsci accanto a Julius Evola.

Uno che fu capace di elogiare, nel documentario The Brink, il modello organizzativo del campo di sterminio nazista di Auschwitz, «una figata – disse testualmente – ingegneria di precisione all'ennesima potenza, fatta da Mercedes, Kropp, Hugo Boss... un complesso industriale istituzionalizzato per eccidi di massa». Peggio che il diavolo.

Eppure, è stato incredibilmente amato da politici di tutto mondo. E’ stato alla guida di Cambridge Analytica, la società che esfiltrava illegalmente i dati degli utenti Facebook, passandoli poi alla campagna Trump. E proprio in quella stagione arrivò a vedere frequentemente leghisti e grillini: che poi si unirono nel governo Conte 1.

L’8 marzo 2018, quattro giorni dopo il voto della stravittoria populista, Bannon era a Milano in un incontro riservato con Matteo Salvini (c’era anche Marcello Foa, poi presidente di una Rai che diede spazi memorabili a Bannon in quella stagione). Il 3 o 4 giugno – rivelò Wired, mentre giurava il governo Lega M5S – era a Roma con Davide Casaleggio.

A settembre, fu alla festa di Atrejù, i giovani di Fratelli d’Italia, e in quella fase cominciò a aiutare, suggerire, favorire, la crescita incredibile di Giorgia Meloni sui social e nei sondaggi. Giorgia Meloni compare nel film documentario su di lui, seduta accanto a lui mentre Paul Lewis del Guardian li intervista. The Politico scrisse che aveva visto anche Di Maio. Di Maio restò in silenziò e smentì solo cinque giorni dopo, in una riga nascosta in un altro articolo. Bannon cercò di fondare poi una scuola del sovranismo in una meravigliosa abbazia italiana, a Trisulti, sostenuto da pezzi di Vaticano ultraconservatore, come il cardinale Raymond Leo Burke, nemici giurati di papa Francesco. La cosa fallì, ma stette in piedi per mesi. Incredibile ma vero.

Era (forse) caduto in disgrazia in America con Trump, Bannon, dopo l’uscita del libro di Michael Wolff, Fire and Fury, in cui si raccontavano retroscena come questo: «Alla Casa Bianca dicono che Trump sia un idiota». Confidenze che finirono ascritte a lui. Ma poi Trump, come ultimo atto della sua presidenza, lo graziò da un’accusa per la quale Bannon era stato infine colto con le mani nel sacco: aver intascato parte delle donazioni raccolte dalla campagna “We Build The Wall”, per il muro antimigranti al confine col Messico.

Difficile pensare che the Donald lo abbia fatto solo per amicizia, o perché Bannon era l’unico che potesse rilanciare (con le bislacche teorie stile QAnon) una controffensiva coordinata trumpiana sui fantomatici brogli elettorali a favore di Joe Biden, e forse organizzare l’assalto dei supporter trumpiani a Capitol Hill, il 6 gennaio scorso.

Come che sia, sostiene Wolff che «fu Steve Bannon a suggerire a Matteo Salvini e Luigi di Maio di scegliere un premier di facciata, Giuseppe Conte». Il suo socio a Bruxelles, Mischaël Modrikamen, dichiarò: «Steve ha certamente dato consigli a entrambi i leader (Salvini e Di Maio, ndr.) e alla fine entrambi sono riusciti a fare un passo indietro, consentendo al primo ministro Conte di assumere un ruolo di comando».

A un certo punto Bannon si presentava come il proconsole in Europa neanche più tanto del trumpismo, ma direttamente di Robert Mercer – il capo di uno degli hedge fund più ricchi e secretivi degli Stati Uniti, nonché il patrono di Breitbart e di Cambridge Analytica. Ripreso a tavola con Nigel Farage (alleato di Beppe Grillo), è Bannon che dà ordini a un servile Farage. Il 23 settembre 2018 era in Italia, il diavolo Steve, quando teorizzò: «L’alleanza Lega-Movimento 5 stelle è un esperimento che, se funzionerà, cambierà la politica globale». Non ha funzionato (per ora). Ma certo la politica globale l’ha cambiata.

2 - BANNON SI CONSEGNA ALL'FBI: «PAGA» PER L'ASSALTO AL CONGRESSO Giuseppe Sarcina per il "Corriere della Sera"

Alle 9.30 di ieri Steve Bannon si è presentato negli uffici dell'Fbi a Washington, a poche centinaia di metri da Capitol Hill. Gli agenti lo hanno arrestato, su mandato del Dipartimento della Giustizia, per due capi di imputazione: «disprezzo nei confronti del Congresso»; «mancata consegna di documenti» alla Commissione che indaga sui tumulti del 6 gennaio. Alle 14.30 Bannon era già fuori.

Il giudice del Tribunale federale, Robin Meriweather, dopo avergli contestato le accuse, lo ha rilasciato, togliendogli il passaporto e disponendo controlli settimanali sui movimenti. Appena fuori l'ex stratega della prima campagna elettorale di Donald Trump ha improvvisato una specie di comizio a beneficio delle telecamere in attesa, spalleggiato dal suo legale, David Shoen, che aveva già difeso Trump nel secondo impeachment. Giaccone verde militare, maglia nera e camicia blu, già di prima mattina si era rivolto ai giornalisti con un dito alzato: «Non voglio che nessuno si distragga da ciò che stiamo facendo ogni giorno. Stiamo abbattendo il regime di Joe Biden».

Proprio così: «regime». Adesso, prima di tornare nella sua casa-studio radiofonico, la seconda parte: «Questo è un misfatto di Biden, di Nancy Pelosi e di Garland (il ministro della Giustizia ndr). Ma se la sono presa con la persona sbagliata. Adesso passeremo noi all'offensiva». È evidente come l'agitatore populista, 67 anni, stia trasformando le accuse giudiziarie in un'occasione per tornare al centro della scena, con i panni, questa volta, del martire politico perseguitato per le sue opinioni. Un'operazione, però, che potrebbe costargli fino a due anni di carcere, se gli verranno comminate le pene massime previste per le due accuse.

Anche Shoen è stato durissimo: «Questo caso è una truffa, un attentato alla libertà d'espressione». Nell'udienza, l'avvocato ha chiesto di applicare al suo assistito il cosiddetto «privilegio presidenziale», cioè il diritto di non rivelare le conversazioni in cui è coinvolto il presidente degli Stati Uniti.

Bannon era stato incriminato venerdì 12 novembre da un «grand Jury», una giuria popolare convocata dal Dipartimento di Giustizia dell'Amministrazione Biden. Una procedura prevista per chi respinga una convocazione di imperio (sub poena) da parte del Congresso. Nel dettaglio: la Commissione di inchiesta sull'assalto a Capitol Hill aveva deciso all'unanimità di ascoltare Bannon. Una richiesta ratificata a larga maggioranza dalla Camera il 21 ottobre scorso. Secondo la repubblicana Liz Cheney, componente della Commissione, «Il rifiuto di Bannon suggerisce l'idea che Trump sia stato personalmente coinvolto nella pianificazione ed esecuzione delle violenze».

Le accuse si basano su almeno tre elementi concreti. All'inizio di gennaio Bannon partecipò alle riunioni di una sorta di «consiglio di guerra» riunito al Willard, storico e lussuoso hotel a due passi dalla Casa Bianca. Gli incontri erano guidati da Rudolph Giuliani, avvocato personale di Trump e dall'accademico John Eastman. Obiettivo: studiare il modo per rovesciare i risultati delle presidenziali, negando la vittoria di Joe Biden.

La mattina del 5 gennaio, poi, Bannon annunciò agli ascoltatori del suo programma radio: «domani a Washington si scatenerà l'inferno». Infine, nel documento di «sub poena» compilato dalla Commissione si cita anche una telefonata del 30 dicembre in cui «Steve» consigliava a «Donald» di «concentrare gli sforzi sul 6 gennaio». In ogni caso le parole di Bannon infiammano uno scontro che è giudiziario e politico nello stesso tempo.

Il campo trumpiano ha boicottato fin dall'inizio il lavoro della Commissione insediata dalla Speaker democratica Pelosi, con l'evidente scopo di accertare le responsabilità dell'ex presidente e dei suoi collaboratori più stretti. Lunedì 18 ottobre gli avvocati di Trump hanno citato in giudizio il presidente della Commissione di inchiesta, il democratico Bennie Thompson, e l'Archivista degli Stati Uniti David Ferriero. I trumpiani vogliono impedire ai parlamentari di visionare una serie di documenti della Casa Bianca custoditi nei National Archives di Washington e forse utili per le indagini.