Avvenire, 16 novembre 2021
In Italia ci sono 1.900 ponti a rischio
Il vecchio ponte Morandi e i suoi fratelli: sono tanti i ponti ’vecchi’ come quello crollato nell’agosto di tre anni fa. Su quelle infrastrutture ogni mattino transitiamo con le nostre auto e ci incolonniamo dietro una fila di tir. Il 60% delle 61mila infrastrutture italiane ha oltre cinquant’anni, contro la media dei 20-30 degli altri Paesi del G7. Il 18% è considerato dai tecnici «strutturalmente carente» e 1.900 di questi sono in condizioni «gravissime » e richiedono un intervento. In altre parole, non si dovrebbe passarci sopra.
Se ne è parlato ieri a Genova, nell’ambito di un convegno promosso da Bureau Veritas e Osmos, al quale il Politecnico di Milano ha portato gli ultimi lavori, tra cui uno studio che attesta che 131 strutture lombarde su 195 andrebbero attentamente monitorate. Il tema viene sollevato non tanto perché la ricostruzione a tempo di record del ponte genovese, rovinosamente crollato il 14 agosto del 2018, sia diventata un modello – il ’modello Genova’ appunto – ma perché ci sono i soldi. Non come negli anni scorsi, che hanno visto fuggire i tecnici più validi dal settore delle costruzio- ni, dal momento che non vi si lavorava più. «La buona notizia è che abbiamo una serie di finanziamenti già approvati – ha detto ieri il sindaco di Genova, Marco Bucci –, dai 4 miliardi già approvati per i cantieri cittadini ai 2,5 miliardi che dovrebbero arrivare dal Pnrr, senza dimenticare il miliardo e mezzo che arriva dall’accordo con Autostrade (in seguito a crollo e ricostruzione del ponte; ndr): è una cifra enorme che ci permette di pensare che riusciremo a fare cose importanti per la qualità della vita dei genovesi, che è già alta». Bucci ha sottolineato che il ’modello Genova’ non è innovativo come si pensa, ma discende semplicemente «dall’applicazione della cultura manageriale privatistica al settore pubblico». Un’analisi non del tutto condivisa dal governatore ligure Giovanni Toti, secondo il quale «non è solo un problema di regole ma anche di condivisione degli obiettivi » e «non ci sono soluzioni univoche ». In realtà, tutto il parterre tecnico si è trovato d’accordo con Bucci. A partire dal presidente dell’Autorità portuale del mare ligure occidentale, che gestisce i porti di Genova e Savona. Paolo Emilio Signorini ha infatti detto chiaramente che l’individuazione e la gestione del rischio nel settore delle opere pubbliche «non è una attività consolidata ». Raffaella Paita, presidente della Commissione Trasporti Camera dei Deputati, ci ha messo il carico da novanta dicendo che «il crollo del ponte ha reso
plastico nel Paese il vero limite del rapporto concessionario- concedente. A un certo punto si era pensato che i beni dati in concessione fossero proprietà di chi li gestiva. Non è così. Rimane un compito preciso del pubblico nei controlli, anche quelli dei piani economici e finanziari che però non è avvenuta perché quei piani erano costruiti ad hoc per non far capire e perché dentro i ministeri si erano perse le competenze necessarie». Paita ha chiesto un ripensamento legislativo, che investirà – tanto per dirne una– l’Anas e il sancta sanctorum del settore pubblico in tema di infrastrutture di trasporto ed è evidente che da un lato la politica non vuole più farsi carico di responsabilità altrui e dall’altro avverte la domanda sociale di sicurezza. La quale non potrà mai essere assoluta –. «È impossibile pensare di sottoporre a monitoraggio 130mila manufatti» ha detto un ingegnere, ricordando che le stesse linee guida del ministero delle Infrastrutture adottano un approccio multilivello: significa che non avremo mai la certezza che il ponte su cui viaggiate è monitorato, perché ciò dipende comunque da una scala di priorità che non sono politiche e sono tecniche ma conservano pur sempre un certo margine di rischio. Per quanto esistano sistemi di monitoraggio dinamico strutturale come quello presentato ieri nel capoluogo ligure da Nexta e Osmos, che consentirebbe di tracciare una mappa del rischio e quindi delle priorità anche sulla base dei carichi di lavoro cui sono soggette le diverse opere, i numeri di quest’emergenza sono davvero imponenti: 1.900 ponti su 61mila esistenti in Italia, come abbiamo detto, presentano altissimi rischi strutturali e – come si evince da uno studio del professor Carlo Castiglioni del Politecnico di Milano – nella sola Lombardia 18 ponti, pari al 19%, hanno un’urgente necessità di riclassificazione e manutenzione straordinaria e altri 113, su un totale di circa 200, necessitano di verifiche e forse di interventi di manutenzione straordinaria, mentre solo 25 su 200 si trovano fuori dalla fascia di rischio.