La Stampa, 16 novembre 2021
Cuba, la repressione continua
Come in un gioco tra guardie e ladri, governo e opposizione si sono inseguiti ieri a Cuba durante la giornata di mobilitazione promossa da gruppi critici del regime. Un primo assaggio si era visto domenica fuori dalla casa del leader del movimento Archipiélago, il drammaturgo Yunior Garcia, che aveva annunciato di voler manifestare da solo per le strade dell’Avana. La sua casa è stata circondata da un centinaio di agenti che gli hanno impedito di uscire, mettendogli anche una gigantesca bandiera cubana sul balcone. A lui non è rimasto altro che affacciarsi alla finestra con un cartello: «Sono chiuso in casa». Stessa sorte è capitata ieri ad altri esponenti dell’opposizione, così come a giornalisti, artisti, attivista indipendenti. Piantoni di agenti fuori casa, internet bloccato per diverse ore, avvertimenti più o meno velati di non farsi vedere protestando. Dal collettivo Archipiélago, che ha più di 30.000 follower in Facebook, hanno chiesto il permesso di manifestare ma il governo glielo ha negato categoricamente. «Dobbiamo protestare – spiegano – per scuotere questo Paese, auspichiamo un grande dibattito, permettere ai cubani di prendere coraggio, vogliamo lavorare per produrre dei cambiamenti». Ma cambiare è proibito a Cuba; per l’establishment qualsiasi manifestazione di dissenso è una provocazione golpista orchestrata dagli Stati Uniti. Lo ha ripetuto il ministro degli esteri Bruno Rodriguez in un incontro con il corpo diplomatico e dalle parole si è passati rapidamente ai fatti, persino con il ritiro delle credenziali ai corrispondenti dell’agenzia di stampa spagnola Efe, colpevoli di aver dato voce a chi protesta. Human Rights Watch ha denunciato ieri aggressioni a danno di manifestanti pacifici, mentre centinaia di cubani sono ancora in carcere dopo le manifestazioni contro il regime dell’11 luglio scorso. Ieri come oggi, la mano dura. Alcuni sono stati condannati a pene da 4 a 12 mesi per istigazione alla violenza, resistenza all’autorità, vandalismo, infrazione delle norme di prevenzione sanitaria. Delitti comuni e non di opinione, per evitare che li si consideri, almeno formalmente, dei prigionieri politici. La retorica ufficiale è chiara; chi si ribella lo fa perché al soldo della Cia. «Ogni volta che un cubano vuole fare o dire qualcosa – ha spiegato Yunior Garcia – dicono che è stato Washington a imporglielo; come se non avessimo un cervello nostro». Maikel Osorbo, uno degli interpreti del rap «Patria y vida», colonna sonora dei dissidenti, è ancora rinchiuso nel carcere di Pinar del Rio dopo esser stato in passato protagonista di video virali sui social; lo si vede discutere con un agente che lo accusa di essere controrivoluzionario, scappare in bicicletta dai poliziotti o cucirsi la bocca contro la censura. Per evitare di essere arrestati i dissidenti hanno cambiato più volte il programma delle manifestazioni di ieri. All’inizio si pensava a dei cortei, ma poi si è scelta la discrezione, invitando la gente a vestirsi di bianco e a portare fiori alle statue degli eroi dell’indipendenza, a sbattere pentole e coperchi dai balconi o a srotolare lenzuola bianche dalle finestre. Far vedere che non si è d’accordo, ma evitando lo scontro fisico. Il regime, a sua volta, ha organizzato delle manifestazioni in appoggio al partito per «blindare» piazze e parchi. La data non è causale; ieri Cuba ha riaperto al turismo dopo 18 mesi di blocco causa pandemia. C’è bisogno disperato di riattivare il settore che, assieme alle rimesse, rappresenta buona parte dell’economia dell’isola. Il Pil è caduto del 11% nel 2020 e crescerà meno del 3% quest’anno. Troppo poco, considerando anche l’emergenza sanitaria. Dopo il boom di casi in estate per la variante Delta, si cerca di controllare la pandemia con il vaccino di nazionale Soberana 02, con efficacia dichiarata dall’Avana del 91% dopo tre dosi. Tra fame, incertezza sul futuro e voglia di libertà le voci di protesta a Cuba sembrano destinate ad aumentare, nonostante la mano dura del regime.