Corriere della Sera, 15 novembre 2021
Sulle dimissioni di Julián Carrón
Non si può parlare di dimissioni polemiche, perché Julián Carrón è un uomo così mite e così lontano dalle tentazioni della zuffa politica che è difficile immaginarlo polemico. Ma che si tratti del gesto di un uomo amareggiato, e che contenga una sfida a chi l’ha spinto a farlo, non sembrano esserci dubbi. Non foss’altro per i tempi.
Le dimissioni arrivano infatti, a sorpresa, due anni prima del termine ultimo richiesto dal Vaticano a tutti i movimenti ecclesiali per rinnovare guida e statuto, e prima che emergesse una ipotesi sulla successione alla presidenza del movimento fondato da don Giussani. Non a caso nella lettera di addio Carrón dice apertamente che la sua decisione «porterà ciascuno ad assumersi in prima persona la responsabilità del carisma». Il presidente di Cl ha insomma voluto togliere alibi ai suoi critici interni, spogliarsi di ogni potere e liberare così la scelta della nuova guida dalla sua tutela. Il che va nel senso della riforma di Francesco, che vuole mettere fine alle leadership carismatiche e a vita. Si vede che Carrón ha preferito evitare altri due anni come l’ultimo che ha vissuto. In cui le tensioni interne al movimento, e l’attivismo dei “nostalgici del passato”, l’hanno usato come capro espiatorio, mettendolo sotto pressione e trovando sponde in Vaticano.
Carrón è stato il traghettatore che ha portato Cl fuori dalle secche della iper politicizzazione e delle inchieste giudiziarie, in cui era stata spinta da quel Movimento Popolare che a Milano aveva il suo indiscusso leader in Roberto Formigoni. Con una lettera pubblicata nel maggio del 2012, nella quale con toni accorati chiedeva “perdono” a nome del movimento, il teologo spagnolo ammetteva che «se Cl si è identificata con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato, qualche pretesto dobbiamo averlo dato». E aggiungeva, prendendo le distanze: «Non esistono politici di Cl».
Paradossalmente la contestazione che ha portato fino alla rottura di ieri è nata proprio tra i Memores Domini, i laici di Cl che, un po’ come i “Numerari” dell’Opus Dei, vivono seguendo i voti di povertà, castità e obbedienza, e di cui fanno parte tra gli altri anche Formigoni e le quattro suore laiche che assistono il papa emerito Benedetto XVI. Lo scontro aveva portato in settembre il pontefice a commissariare l’associazione di cui Carrón era anche assistente ecclesiastico; ma con l’arcivescovo Santoro, di lunga appartenenza ciellina.
Difficile prevedere ciò che sarà ora di Cl, un movimento che fin dalla sua fondazione nel 1954 ha sempre conosciuto una leadership carismatica, prima con don Giussani e ora con Julián Carrón. Tanto che non si esclude un commissariamento, in attesa che il Dicastero per i laici del Vaticano approvi il nuovo statuto e dia il via libera alle elezioni.