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 2021  novembre 15 Lunedì calendario

CI VUOLE UN GHEDDAFI PER RIMETTERE ORDINE IN LIBIA? - LA CANDIDATURA DI SAIF, EREDE DESIGNATO DELL'EX DITTATORE, HA ACCESO I "NOSTALGICI" - HA SEMPRE AVUTO PIÙ UN RUOLO DIPLOMATICO, SOPRATTUTTO DURANTE IL RIAVVICINAMENTO ALL'OCCIDENTE NEI PRIMI ANNI DUEMILA. BUONI STUDI ALL'ESTERO, FREQUENTAZIONI A LONDRA E PERSINO UN CANALE PRIVILEGIATO CON ISRAELE. IL PADRE AVEVA SCELTO LUI PER PARLARE CON IL NEMICO, IN VISTA DI UNA "NORMALIZZAZIONE" -

Saif al-Islam Gheddafi è tornato negli stessi abiti della sua ultima apparizione, quando era stato catturato, alla fine del 2011, dai ribelli di Zintan al confine con il Niger. Abito e turbante tradizionali, color marrone, una lunga barba e occhiali da vista. Ed è riapparso in quello stesso Sud della Libia, nel capoluogo del Fezzan Sebha, dove si sente più sicuro e fuori dallo scontro fra Tripolitania e Cirenaica. Ha firmato i documenti nel centro di registrazione per le candidature alla presidenza, con l'aria guardinga ma circondato da funzionari premurosi. Il suo ritorno in scena è stato preparato a lungo.

Dopo la cattura ha subito un lungo processo, e per anni un totale blackout di dichiarazioni e immagini, a parte quelle di lui dietro le sbarre nel carcere di Zintan. Processato per le uccisioni di civili durante la rivolta del 2011, mentre il Tribunale internazionale dell'Aja aveva spiccato un mandato di cattura per crimini contro l'umanità. Nessuna fazione libica ha però mai avuto l'intenzione di consegnarlo.

Dopo la condanna e cinque anni dietro le sbarre, è stato liberato nel 2017 e da allora ha tenuto un profilo bassissimo tanto che le voci di una sua morte presunta sono diventate sempre più forti. Fino all'intervista al «New York Times» del luglio scorso, al telefono, ma con la "prova in vita". Di lì è partita la sua corsa alla presidenza. Sa di avere un percorso difficile ma ha le sue chance.

Se il campo rivoluzionario, soprattutto i Fratelli musulmani che dominano Tripoli, lo vorrebbe morto, c'è una parte di Libia «nostalgica». Il suo ruolo nella repressione del 2011, quando il padre Muammar chiamava i manifestanti «topi» da eliminare, è stato secondario. I veri macellai erano i fratelli più piccoli Moatassim e Khamis, a capo di unità dell'esercito senza scrupoli, e poi morti ammazzati.

Lui, erede designato, ha sempre avuto più un ruolo diplomatico, soprattutto durante il riavvicinamento all'Occidente nei primi anni Duemila. Buoni studi all'estero, frequentazioni a Londra e persino un canale privilegiato con Israele. Il padre aveva scelto lui per parlare con il nemico, in vista di una «normalizzazione».

Poi il bagno di sangue del 2011 ha spazzato via tutto ma adesso potrebbe tornargli utile. Secondo gli osservatori la discesa in campo del rampollo è da prendere sul serio se non altro perché va a complicare un cammino, quello verso le urne, già minato da tante criticità. Il suo ingresso è figlio di una legge elettorale, quella fortemente voluta dal presidente del Parlamento di Tobruk Aguila Saleh, che appare iniqua e lacunosa. «Una legge elettorale chiara non glielo avrebbe permesso», spiega una fonte vicina al dossier secondo cui il quadro generale assai lacunoso.

Primo perché ribalta la simultaneità del voto presidenziale e di quello parlamentare prevista dalla risoluzione Onu 2570 attuativa dell'intesa di Berlino, esponendo il processo elettorale a un deragliamento in corsa. «Sembra tagliata su misura per Haftar o per far saltare il banco e permettere in caso di necessità al Parlamento di Tobruk di sopravvivere». Il quadro normativo crea inoltre confusione, ad esempio, non escludendo Saif; la legge dice infatti che per non essere ammesso deve sussistere una condanna in via definitiva, mentre per la gran parte dei giuristi quella di Saif non lo è.

Per capire il peso della candidatura del figlio del Colonnello occorre dire che i gheddafiani hanno una forte intesa con Dbeibah, i duri e puri sono con l'erede del Rais, mentre la gran parte considera Khalifa Haftar un traditore. La discesa in campo pertanto non aiuta di certo il generale e, dal momento che Dbeibah è al momento escluso dalla corsa in base all'articolo 12 della legge elettorale, il giovane Gheddafi avrebbe chance di vittoria.

Sul suo capo tuttavia, oltre al problema giuridico interno, rimarrebbe il problema della Corte penale internazionale, replicando così il caso Bashir in Sudan. Un altro aspetto che mostra la fragilità dei presupposti del voto del 24 dicembre espresso anche nella posizione italiana a Parigi secondo cui il voto è necessario, ma affinché sia utile e condiviso deve svolgersi in condizioni accettabili intervenendo subito sulla legge elettorale. Su questo c'è differenza rispetto a Francia ed Egitto sostenitrici del voto a prescindere, forse spinte dalla convinzione di poter incassare il risultato che è stato mancato con la guerra.