la Repubblica, 15 novembre 2021
Il meglio del tartufo
È vero, è un prodotto da re, da tavole blasonate, da portafogli gonfi. Ma il tartufo ha anche uno spirito popolare e una lunga tradizione contadina. Perché si sposa con ingredienti poveri e vive nel calore delle trattorie e delle piole piemontesi. Ama le compagnie modeste, forse per questo il dono di scovarlo sotto terra è stato dato ai maiali, con cui in passato si andava alla ricerca.
Aristocratico per quell’odore ritenuto in grado di portare a stati d’estasi, ma sporco di terra, con lo spirito del Marchese del Grillo, che scherzava con sua Santità ma passava il tempo a giocare a carte nelle osterie. Certo Cavour lo serviva in pranzi diplomatici, Rossini lo considerava il Mozart dei funghi, Lord Byron lo teneva sulla scrivania per stimolare la creatività e oggi se lo contendono i gourmet internazionali, in aste in cui è battuto anche a 5000 mila euro al chilo. Eppure, il tartufo, quasi a rivendicare la sua origine terragna dà il meglio di sé con l’ovetto al tegamino, su una fetta di pane burro e acciughe, sulla polenta, sulla fonduta ed è protagonista di piatti antichi come i tagliolini fatti a mano.
Così si può provare a ribaltare la prospettiva snob e guardare al più pregiato dei funghi come a un piccolo lusso casalingo.
Dovremo rinunciare alle grandi pezzature dal prezzo proibitivo ma puntare su quelli dalle dimensioni di sassolini, altrettanto profumati. Un piccolo tesoro di aromi da spolverare su due uova a occhio di bue, accompagnato da un crostino imburrato. Sarà comunque una festa per il palato. Perché il tartufo si dona anche così.