La Stampa, 15 novembre 2021
Intervista a Rosy Bindi
«È gratificata» dal fatto che qualcuno tifi per una sua salita al Colle, «devo dire che me lo sto gustando, siccome so che non accadrà, non sono neanche accompagnata dalla preoccupazione e dai polsi che tremano solo all’idea di dover ricoprire una responsabilità così alta»: Rosy Bindi, ex ministro della Sanità nel governo Prodi, ulivista della prima ora e già presidente del Pd, è convinta che «dopo le votazioni sul nuovo Presidente della Repubblica, le cose cambieranno, tutti si sentiranno più svincolati, ma in nessun caso si andrà al voto anticipato». La proposta di Enrico Letta di un patto tra i leader dei partiti sulla manovra economica non crede sia facile da realizzare «in una compagine che non si può definire una maggioranza. E senza nulla togliere all’idea di Enrico, che mira a dare una grossa mano al premier, credo che una qualche distinzione tra partiti e governo sia salutare. Vede, mentre stigmatizzo il comportamento di Salvini “di lotta e di governo”, io incoraggio il Pd a non dismettere la lealtà totale nei confronti del governo e a lavorare anche ad una visione per il futuro. Noi siamo più omogenei all’esecutivo Draghi di quanto possa essere la Lega, ma non si può far coincidere il nostro progetto con questo governo».E in cosa non coincide?«Credo ci sia bisogno di una nuova proposta del centrosinistra, che risulti nettamente alternativa al centrodestra e questo non può farlo questo governo, condizionato dal percorso del Pnrr. Il Pd deve distinguersi sulle grandi sfide dell’immigrazione, della lotta alle disuguaglianze, dei beni comuni».Un bel programma di fine legislatura. Non si stupisca se la considerano una bandiera del centrosinistra da contrapporre alla candidatura di Berlusconi al Colle. Che farebbe se venisse eletto?«Non accadrà, credo che anche chi lo sta proponendo, sa che è necessario un profilo del presidente della Repubblica non sovrapponibile alla persona e alla storia di Silvio Berlusconi».Sarebbe l’ora di eleggere una donna?«Questo lo ripeto da anni fino alla noia. E trovo siano un’anomalia gli appelli in tal senso, dovrebbe essere normale prendere in considerazione questa ipotesi».La politica è più indietro del Paese?«Beh, anche il Paese lo è. Ma i partiti e il Parlamento sono ancora più arretrati».Lei che lo conosce, fa bene Mattarella a dire no al bis?«Se penso a un profilo del futuro presidente, mi auguro che continui la sua opera, con il suo stile, la sua imparzialità e il suo rispetto della Costituzione. Del resto la sua decisione, come ha detto di recente, è anche la scelta dei costituenti. Vero che il secondo mandato non è escluso, ma tutto indica che la fisiologia stia nel farne uno solo».E Draghi che dovrebbe fare?«Credo che dovrebbe fare il premier: è in quel ruolo che, dato il disegno istituzionale del nostro paese e dell’Europa, può diventare il nuovo punto di riferimento europeo nel dopo Merkel. Ne ha bisogno l’Italia e ne ha bisogno l’Europa. Sicuramente fino alla prossima scadenza elettorale, dopo chissà. Ma c’è un altro aspetto».Quale?«Che il suo passaggio da palazzo Chigi al Colle darebbe vita ad una nuova prassi costituzionale che richiederebbe grande equilibrio. Sarebbe un passaggio inedito e non si deve rischiare di approdare a un semipresidenzialismo di fatto: quando sento dire da Giorgetti che Draghi guiderebbe il convoglio anche da lì, penso che ciò non debba accadere. La Costituzione formale non deve essere alterata dalla Costituzione materiale. Posso raccontare una cosa personale?»Prego.«Sono stata d’accordo con Berlusconi una volta sola, quando ha fatto saltare la riforma costituzionale che prevedeva il semipresidenzialismo alla francese. Credo vi sia più sapienza democratica nel nostro disegno costituzionale che in quello francese. Detto questo però, capirei un Parlamento che per non lacerarsi sull’elezione del presidente, finisse per trovare un accordo su Draghi, che sarebbe una soluzione alta».Draghi si è stufato di dover rinviare tutti i nodi con questa maggioranza?«Per lui è sicuramente faticoso dover guidare una maggioranza come questa e lo sta facendo bene, ma non è detto che si continui così dopo le votazioni per il Quirinale».Non esclude un’uscita dalla maggioranza della Lega?«Mi domando ogni giorno se sia possibile continuare a sopportare un tale comportamento. Attraverso Salvini, la Lega è una forza di governo e di opposizione e questa situazione non può durare, rischia di vanificare l’autorevolezza dei vertici del paese».Pensa sia realizzabile il campo largo che vuole costruire Letta contro la destra?«Sì, ma se si fa un’operazione politica e non elettorale. L’unico modo per vincere le elezioni è presentare agli italiani un programma alternativo alla destra coraggioso e chiaro. Il gioco dei veti incrociati tra i partiti si supera se si dà importanza alla visione e al programma, non sommando le sigle con operazioni algebriche».E Letta sta operando bene in questo percorso?«Mi pare di sì. E dopo di me, credo sia il migliore conoscitore di Renzi. Rivendico il copyright per essere quella che non ha avuto nessun cedimento nei confronti del renzismo, ci sono incompatibilità politiche e culturali».Cosa ne pensa di quanto emerge dall’inchiesta Open?«Che ci trovavamo di fronte ad atteggiamenti estremamente disinvolti e che feci bene a votare contro l’abolizione del finanziameno pubblico dei partiti».E delle misure del governo sul fronte della sanità?«Dopo la pandemia, se non si fanno scelte orientate verso la sanità pubblica si opera una mutazione genetica del nostro sistema. E la legge di bilancio strizza l’occhio al privato: non aumenta il fondo per la sanità, non ci sono misure adeguate per il personale. La politica deve stare in piedi davanti ai colossi farmaceutici. La pandemia non si sconfigge se non ci sarà una vaccinazione globale. E se restano questi i prezzi dei vaccini, le risorse non basterebbero neanche per noi. Purtroppo poi, non vedo quella coesione che sarebbe necessaria dopo un periodo come questo. Come dice il Papa, peggio della pandemia c’è la nostra incapacità di imparare la lezione».