il Fatto Quotidiano, 15 novembre 2021
Diritti tv: la Premier vale 10 volte la Serie A
È ufficiale: i mammasantissima del calcio italiano, cioè i vertici di Figc, Lega Serie A e i presidenti dei 20 club di A, al secolo Gravina e i suoi predecessori, Dal Pino e i suoi predecessori e i vari Agnelli, Scaroni, Zhang, Lotito, De Laurentiis e via dicendo, sono dieci volte più fessi, maldestri e incapaci dei reggenti del calcio inglese.
È la matematica a dirlo. La notizia è stata data col silenziatore, ma la scoperta di questi giorni è che la Premier League, il campionato made in England, si appresta a concludere la vendita dei diritti televisivi all’estero per il triennio 2022/’25 per una cifra superiore ai 6 miliardi di euro: esattamente il decuplo di quel che raccoglierà sullo stesso mercato la Serie A, che dopo il fallito rinnovo dell’accordo con beIN Sports per l’area Medio Oriente-Nord Africa, dove le gesta di Ibra, Osimhen, Dzeko e Dybala sono visibili gratuitamente sul canale Youtube della Serie A, dovrebbe portare a casa non più di 200 milioni a stagione, che per il triennio 2021/24 fanno 600 milioni: per l’appunto, un decimo dei soldi rastrellati dagli inglesi fuori dai loro confini. Ora, tralasciando il particolare che la Premier è stata venduta per 6 miliardi (a Sky Sports, Bbc, Amazon e BT) anche sul mercato di casa, 6 miliardi che aggiunti ai 6 del mercato estero fanno 12, mentre la Serie A è stata venduta a Dazn e Tim per 2,52 miliardi, cioè 840 milioni per ognuna delle 3 stagioni, in netto ribasso rispetto ai 973 milioni a stagione del triennio precedente targato Sky, premesso questo la domanda è: ma come hanno fatto le nostre eminenze grigie a maneggiare il calcio italiano, che pure fino a vent’anni fa era l’Eldorado del pallone, trasformandolo in quella malfatta, sinistra, oscena creatura che nessuno nel mondo è più interessato a vedere?
Più che un campionato, un Circo popolato da clown, ciarlatani e saltimbanchi capaci di mettere in scena sketch inimmaginabili: come l’ultimo, la vendita dei diritti a Dazn, la piattaforma a pagamento di streaming online che nel giro di tre mesi è riuscita nella triplice impresa di: A) rendere la visione delle partite un terno al lotto per via di colossali e ripetuti disservizi tecnici; B) abbassare paurosamente il numero degli abbonati (si parla di 1,2 milioni più 500 mila di Tim) rispetto all’era Sky (erano oltre 3 milioni); C) inimicarsi i nuovi utenti minacciando di impedire loro la visione da due diversi dispositivi assicurata alla stipula del contratto (solo l’intervento del governo ha costretto Dazn allo stand by).
Ricapitolando: il calcio italiano, dove il tempo si è fermato e ancora oggi si gioca in stadi fatiscenti, dove sugli spalti razzismo e cori discriminatori continuano a farla da padrone senza che nessuno batta ciglio, dove in campo gli scudetti e i piazzamenti Champions vengono decisi dagli arbitri invece che dai calciatori, dove il regolamento è una barzelletta e la giustizia sportiva è il contrario di ciò che dovrebbe essere mostrandosi ormai apertamente per quel che è, una cinica Macchina Insabbiatrice (per informazioni citofonare Suarez), dove 15 club su 20 sono in bancarotta e dovrebbero portare i libri in tribunale, dove chi trasmette le partite in tv (o su pc, tablet, smartphone) non è in grado di farlo e non contento tradisce gli accordi contrattuali mettendo l’abbonato sotto ricatto (o recedi o paghi di più e vedi di meno), il calcio italiano, dicevo, è ormai vicino al suicidio perfetto.
C’erano una volta i ricchi scemi. La novità è che sono scomparsi i ricchi.