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 2021  novembre 15 Lunedì calendario

L’addio alle corse di Valentino Rossi (articoli vari)



Matteo Aglio per La Stampa
È semplicemente un’esplosione di emozioni, colori, motori che gridano. Valencia trema sotto gli applausi di 75.000 persone che urlano il loro saluto per Valentino. La bandiera a scacchi ha sventolato sul rettilineo, l’ultima che il Dottore ha visto con gli occhi del pilota. I suoi avversari rallentano, lasciano che si metta al comando per il giro d’onore ma Rossi non riesce a continuare. Si ferma, scende dalla moto e li abbraccia a uno a uno. «È stato un gran finale» ammette, come devono esserlo le ultime pagine di un colossal durato 26 anni. «Ero preoccupato, pensavo che questa mia ultima gara sarebbe stata un momento triste, invece mi sono divertito» certifica il Dottore. Un fine settimana lungo quattro giorni, una celebrazione continua con le sue moto del passato esposte come quadri nel paddock, un enorme murale del suo volto dipinto sulla palazzina al fianco dei box, ieri i piloti della sua Academy che hanno corso con alcuni dei caschi iconici indossati da Valentino nella sua carriera. «Che spettacolo» c’è scritto su quello scelto da Bagnaia, che ha vinto il Gp davanti a Martin e Miller, il primo podio tutto Ducati della storia. «Volevo celebrare Vale nel modo migliore e ci sono riuscito» il pensiero di Pecco. Tutto passa in secondo piano davanti all’addio della leggenda del motociclismo, raggiunto poi nel paddock dal suo idolo Ronaldo, il Fenomeno dell’Inter, che gli ha anche regalato una maglia.
Non ci sono state lacrime («Se piangerò questa notte da solo vi manderò il video» promette Rossi) ma solo risate. «Come avessi vinto un titolo» con i suoi uomini che lo lanciano in aria nel box. Non poteva essere altrimenti per chi ha sempre corso divertendosi e facendo divertire. «Non volevo finire ultimo in questa gara, l’avevo detto chiaro al mio team – racconta Valentino -. Così ho pensato solo a correre e a fare il massimo, non che sarebbe stata la mia ultima volta. La cosa che mi dà più gusto è fare il pilota: lo sono stato fino all’ultimo. Il ricordo di questo giorno me lo porterò dietro a lungo: nel mio gp di addio sono arrivato 10°, cioè sono stato fra i 10 migliori al mondo». Quando parla ha ancora lo spirito di un ragazzino alle prime armi che vive ogni risultato come una sorpresa. Invece, se si guarda alle spalle, vede 9 titoli mondiali, 115 vittorie, 235 podi. «Non mi posso lamentare. Forse se mi fossi impegnato nei primi anni della mia carriera come negli ultimi avrei vinto di più, ma va bene così». Non ha rimpianti, o quasi, perché c’è un capitolo che ancora lo tormenta, una porta che non riesce a chiudere. Il 2015, quando si sentì derubato dal titolo a causa di Marquez. «Feci tutto nel modo giusto, non fu colpa mia. Ho perso altri titoli all’ultima gara, nel 2006, ma quello mi ha fatto male. Sarebbe stato il numero 10».
I pensieri tristi però scompaiono in fretta, non è il giorno giusto per lasciarsi andare a rimorsi. I tifosi continuano a urlare il suo nome, basta che Valentino si affacci fuori dal box perché partano i cori. Sa di non riuscire a realizzare che stanno passando i titoli di coda davanti ai suoi occhi: «Magari sarà più dura fra qualche mese, quando gli altri piloti ricominceranno a correre e io non ci sarò». Sarà dall’altra parte della barricata, a fare il tifoso «di Bagnaia e Morbidelli: potranno giocarsi il titolo». Ha lasciato la MotoGp in buone mani, può pensare alla sua seconda vita. «Diventerò papà, chissà come mi sentirò. Poi farò ancora pilota, in auto, spero di divertirmi». Il sipario sta per chiudersi, il Dottore si volta indietro. «Non preoccupatevi, ci rivedremo». —

Matteo Aglio intervista Stefania Palma per la Stampa
Stefania Palma non era a Valencia per l’ultima gara di suo figlio, Valentino. Ha preferito rimane a Tavullia, lontana dai clamori e, forse, sfuggire alla valanga di emozioni. «Sarebbe stato troppo per me» confessa quando da poche ore Rossi ha dato l’addio al motociclismo.
Ha visto la gara?
«Certo, dalla tv, tutte le celebrazioni che gli hanno dedicato, il murale mi è piaciuto veramente tanto. Mi hanno reso molto felice, sono sincera: non mi aspettavo che questo ultimo gran premio fosse così bello».
Se ripensa alla carriera di suo figlio, cosa le viene in mente?
«Ha lottato per tanti anni, non è mai stato facile per lui e ha dimostrato che correre significa fare sacrifici. So quanto impegno ci ha messo ed è un esempio da seguire. Soprattutto mi piace ricordare un aspetto di cui non si parla mai: Valentino ha permesso al motociclismo di evolversi, ha aiutato questo sport a progredire anche dal punto di vista della sicurezza».
Avrebbe mai pensato che suo figlio sarebbe diventato una leggenda?
«Non avrei mai potuto nemmeno immaginare il suo impatto. Da bambino non faceva mai i capricci, per me era un compagno di giochi. È riuscito a trasmettere il fatto che il motociclismo, anche se è uno sport pericoloso, può essere praticato da tutti».
Spesso Valentino ha raccontato dei suoi consigli.
«Sì, ma non parliamo di tecnica. Diciamo piuttosto che mi piace farlo ragionare in modo che sia sempre sul pezzo, come si dice. Ho cercato di farlo rimanere concentrato».
Ora inizierà la sua seconda vita, da pilota di auto e papà. Come vede il futuro di suo figlio?
«Io penso che non cambierà molto, in fondo Valentino è un abitudinario e non abbandonerà la sua vita fatta di allenamenti in moto. Secondo me ha le caratteristiche giuste per essere anche un buon genitore. Lo vedo bene come padre, come l’ho visto bene come figlio (ride)». M.A. —

Paolo Lorenzi intervista Francesca Sofia Vianello per il Corriere

Francesca Sofia Vianello è la compagna di Rossi. Al box di Valencia la modella 27enne, ex ombrellina, alla fine è scoppiata in lacrime, travolta dall’emozione di una giornata impossibile da dimenticare. Lacrime di gioia e di orgoglio per l’ultima gara di Valentino che le ha rubato il cuore quattro anni fa e si appresta a diventare il padre di sua figlia.

Quante emozioni, come stai vivendo questo momento?

«L’unico vero dispiacere è di essere arrivata un po’ tardi, gli ultimi quattro anni — ha raccontato a Sky —. Non ho vissuto vicino a lui tutte le gioie e le emozioni della sua carriera, di quando vinceva tutto. Mi sono commossa per il decimo posto di oggi, non oso immaginare come sarebbe stato allora. D’altra parte sono arrivata al momento giusto, perché mi sono innamorata di un uomo che diventerà il padre di mia figlia».

Come sarà il Valentino papà?

«Lui non si è reso ancora ben conto di cosa sta succedendo: mi assicurano che succeda la stessa cosa un po’ a tutti i futuri papà: mi vede crescere e lievitare, però fa un sacco di domande. È molto curioso».

Sole le madri possono provare certe emozioni.

«Quando la bimba si muove gli faccio sentire i calcini che mi dà nella pancia. Allora lo chiamo, “dai amore, vieni a sentire...”».

Avete già scelto il nome? Potrebbe essere Vittoria?

«Vittoria non so da dove sia uscito (pare durante un’intervista dello stesso Rossi alle Iene, ndr). Si chiama così la figlia di Uccio, l’amico d’infanzia di Valentino. In realtà stiamo ancora decidendo, abbiamo due scelte, ma le teniamo per noi. Sarà una sorpresa».





Gabriele Romagnoli per la Repubblica
Congedo da Valentino Rossi, motociclista, in 46 frammenti.
1. Tutti sanno che cosa c’è dopo l’ultima curva. Nessuno sa che cosa ci sia veramente dopo il traguardo.
2. Il traguardo era a Valencia, ma da 6 anni. Valentino che lo tagliò nel 2015 doveva vincere e non poté farlo. Ieri non poteva vincere e l’ha fatto.
3. È arrivato decimo, festeggiato come se avesse conquistato il decimo titolo mondiale.
4. Quelli che gliel’hanno impedito non c’erano più. Jorge Lorenzo si è ritirato due anni fa. Marc Marquez rischia di doverlo fare per un problema alla vista. Il destino scambia spesso giustizia e ferocia.
5. Non abbiamo mai “sperato de morì prima”, volevamo esserci: se è stato un pezzo della nostra vita, vuol dire che la nostra vita è stata più grande di così.
6. Einstein ci ha insegnato la relatività del tempo: scorre diversamente a seconda di dove ci si trova. Un uomo in pianura invecchia più lentamente di un uomo in montagna. E un uomo inscritto in un circuito tende a rallentare ulteriormente quel processo.
7. Eppure nello sguardo, attraverso la fessura del casco, ieri abbiamo visto un uomo di 42 anni, anche un po’ stanco.
8. Ed eppure la prima cosa che ha detto agli amici è stata: “Oh, ho fatto la gara. Mica male eh?”
9. Ha sempre ritrovato quel muro di pubblico rialzandosi da una piega. Cambiava, cambiava eccome, ma nello sguardo fuggevole dietro la visiera è sempre stato lo stesso, eccitato e innamorato.
10. Si è dimesso un Papa, poteva ben ritirarsi un Dottore.
11. Per molti le due cose hanno avuto ugual rilevanza.
12. Nello stesso giorno si è ritirato Danilo Petrucci: aveva 11 anni in meno.
13. Valentino lo sorpassò per andare verso l’ultima vittoria, ad Assen nel 2017.
14. Ad Assen aveva vinto la prima volta, nella categoria 125, ventuno anni prima.
15. Guardando le due foto sul podio, nella prima è Luke Skywalker. Nella seconda dice a se stesso: «Io sono tuo padre».
16. Suo padre non gli ha mai scritto messaggini: soltanto lettere, regolarmente impostate.
17. Dopo Assen 2017 disse: «Per me ha ancora dodici anni». Non crescerà.
18. Valentino avrà una figlia. E un erede: Pecco Bagnaia.
19. Lo vidi vincere ad Assen alla tv di un bar di Herceg-Novi. I ragazzi del posto festeggiarono come se il Montenegro avesse vinto i Mondiali.
20. Un tizio in Libano mi caricò in moto sull’autostrada da Beirut a Byblos. A un certo punto s’infilò in mezzo a due camion che si stavano sorpassando, diede gas e filò via. La chiamava la manovra “cruna dell’ago”. Portava un casco numero 46.
21. Ieri tutti i piloti della sua Academy indossavano uno dei suoi caschi. Bagnaia ci ha vinto.
22. Sul suo era scritto: Che spettacolo. Lo spettacolo deve continuare.
Soltanto, s’abbassa la musica.
23. Alla riffa annuale in cui Valentino regala come primo premio un suo casco in diretta Facebook estrasse il biglietto di “uno di Malalbergo, Bo. Boh, sarà Bologna”. Dovrebbe.
24. La “saponetta” (la ginocchiera) la vinse Maxine: «Sarà il nome o il cognome? ».
25. Ha scherzato sempre, su tutto e tutti, anche quando non avrebbe voluto. Spesso si vedeva.
26. Di notte va a correre da solo sulla Panoramica. Dicono. È con Angel Nieto, Nicky Hayden, Marco Simoncelli.
27. Il Sic non l’ha staccato mai, di dosso.
28. Quando va a fare motocross si fa male. Succede perché esce dalla protezione del circuito.
29. La sua donna, Francesca Sofia, ha pianto nei box guardandolo finire l’ultima corsa. Eppure la loro vita comincia adesso.
30. La sera dell’addio al calcio Totti disse di “dover diventare grande”. Era già padre di tre figli.
31. Fuori dal suo perimetro ogni leggenda diventa parodia, meme, spot. Non abbiamo bisogno di eroi, ma di supereroi.
32. Non tutti hanno riconosciuto Ronaldo il Fenomeno nel corpulento omaccione che ha stritolato Valentino ai box prima della partenza.
33. Quanta nostalgia del presente c’era nel videomessaggio di Roger Federer.
34. Il passato lo sottoponiamo a continua revisione. Il futuro ha milioni di versioni che si contraddicono. Il presente lo frantumiamo. Un sorpasso può rivivere in continue ripetizioni, da diverse angolazioni.
35. Non c’è più qui, né ora. Un’accelerazione di Valentino non è una freccia. Torna indietro. E ancora.
36. Se il tempo fosse un circuito, altroché vita in pianura, non si invecchierebbe mai. Si morirebbe, in modo improvviso e tragico, su un qualunque rettilineo, ma invecchiare: mai.
37. Il murale con la sua immagine, quella attuale, resterà sul circuito di Valencia per sempre.
38. Ha mandato un videomessaggio anche Tom Cruise. In Intervista col vampiro il suo personaggio adotta Claudia, la bambina che avrà in eterno sei anni.
39. Valentino e Francesca Sofia non hanno ancora scelto il nome della figlia, ma escluso Vittoria. Si chiama così la figlia del suo amico Uccio.
40. Uccio ha il compito di ricordargli che ci sono cose fondamentali e altre che sono soltanto mondiali.
41. Hanno detto che è stato the last dance, l’ultimo ballo, come per Michael Jordan. Jordan provò con il baseball, Valentino lo farà con le auto. Succederà la stessa cosa.
42. “Essere speciale soltanto un poco significa che ti aspetti troppo, per la maggior parte del tempo, e che ti piaci troppo poco”. (Mary Robison) 43. Però c’è una differenza: Valentino ha imparato ad accettare di arrivare decimo.
44. Da correre per vincere a correre per sentirsi vivo a sentirsi vivo per vincere.
45. Non ci sarà un altro come lui è il motto dell’egoismo di ogni generazione.
46. Non ci sarà un altro come lui.

Giulia Zonca per la Stampa
(Giallo Valentino)
Ora che lo si può registrare il colore giallo46 riprende tutta la sua intensità, l’accecante vitalità con cui è diventato imprescindibile. È una tinta piena e ricca, non ha sfumature: è laccata, è quel tipo di tonalità che lucida e copre, si prende tutto, si impone, è colore denso, spesso, lascia memoria. Lo guardi e ti cattura perché è caldo, mette il buon umore, poi magari è troppo: il giallo46 è una spremuta di eccesso, ma ci torni, di continuo, ogni volta che devi fare il pieno di energia.
Il giallo46 non è Valentino Rossi, è quel che lui si lascia dietro, quel che resta in circolo, è un entusiasmo brillante che non si spegne mai e se ne frega di abbinarsi a quel che c’è intorno. Di una prepotenza sgargiante, cromaticamente dominante in una gradazione che la Pantone dovrebbe omologare nella sua mazzetta, magari nella serie dei luminosi, tra il Lemon 13 e il Mimosa.
Rossi ha scelto il colore prima di diventare campione, subito e ha pure spiegato perché: «Tutti i vincitori hanno un simbolo», il suo è «giallo solare, mi fa sempre pensare al meglio», elevato alla quarantaseiesima, dal numero sulla moto del padre, nel giorno della prima vittoria. Così ha disegnato una carriera lunga 26 anni, con nove Mondiali, 115 vittorie, 235 podi, unico pilota a portarsi a casa il titolo in qualsiasi categoria: 125, 250, 500, MotoGp e sempre in giallo46, sempre con una curva a fare da specchio. Magliette, parrucche, numero abbinato ed è quasi complicati capire quando quel particolare punto di colore ci ha catturato la vista.
È passato tanto tempo, era il 31 agosto 1997, il giorno in cui è morta Lady Diana, giusto per dare una scansione del tempo evidente. Valentino, ancora solo il nome di un diciottenne cresciuto a talento ed esuberanza, si lega sulle spalle un gigantesco numero uno giallo. L’anno prima si era caricato allo stesso modo una bambola gonfiabile, una ipotetica Claudia Schiffer, chioma biondissima ma tutt’altra nuance. Il voluminoso primo posto è già giallo46 e fa il giro del mondo. Le trovate saranno sempre diverse, da Biancaneve e i 7 nani, alla scritta «Scusate il ritardo», il colore resterà lo stesso, ogni volta più evidente, martellante, definitivo. Non è il giallo fumetto della tuta indossata da Uma Thurman in «Kill Bill» e neanche il giallo con punte di senape delle giacche di Angela Merkel, anche se in termini di resistenza i due hanno qualcosa in comune. No, questo giallo è unico, vibra di velocità e resta compatto, non si lascia infiltrare dai verdi che lo rendono acido o dalle venature marroni che lo farebbero maturare verso l’arancio. Il giallo46 è immutabile, è un pezzo di infanzia che ti rimane fisso in testa e per questo, pur continuando a vederlo girare, non lo riconoscevamo più. Valentino era troppo vecchio per portare il suo stesso colore eppure quel marchio, quel modo di essere, di superare, di tagliare il traguardo, di baciare la moto, di infilarsi le dita nelle orecchie come fanno tanti altri colleghi e come fa solo lui, quando esclude il mondo, non si è mai spento. Luce fatta per resistere persino a 12 anni dall’ultimo trionfo, ottobre 2009, l’anno esaltante che ha legato Rossi a Federica Pellegrini, in quell’estate doppio oro mondiale con doppio record. I due fuoriclasse hanno diverse date che si incrociano e salutano entrambi in questo 2021 che ci restituisce il giallo46.
Adesso il giallo libera la sua potenza: lo si è visto ieri per saluti che erano emozioni, ma soprattutto eredità. Abbiamo ascoltato la cerimonia di addio dopo l’annuncio, abbiamo visto l’ultimo Gran Premio in Italia, questo è un ritiro preparato: non un tuffo al cuore, piuttosto un volo tra la folla. Finalmente. Dopo tanti anni passati a cercare di non farsi travolgere, di non lasciarsi giudicare, spolpare e poi, proprio sul finale, lo «stage diving, come Jim Morrison a Los Angeles nel 1968». Valentino nasce 11 anni dopo, ma quella è la libertà mito che ha rincorso, l’eco degli Anni Sessanta e Settanta vissuti e respirati dai genitori che lui non ha mai perso di vista. Che ha costantemente tenuto come punto di riferimento. Il giallo46 arriva anche da lì, non solo dall’omaggio a papà, proprio dal gusto e dall’idea di un’indipendenza ormai fuori moda. Ma il suo colore non è tendenza, è depositato, come il Rosso Valentino (l’altro), come il blu Klein. Il giallo46 è un concentrato di strafottente e solidissima euforia. —

Andrea Sorrentino, Il Messaggero
Solo un fenomeno, un’entità globale, può provocare simili reazioni, un’idolatria identitaria che ha avuto pochi eguali. In qualsiasi parte del mondo, che siano i sobborghi di Bangkok o di Johannesburg, o la Fifth Avenue a Manhattan, può sbucare qualcuno con una maglia gialla e il numero 46, così, dal nulla. Valentino è stato lo sportivo degli sportivi, l’idolo degli idoli, il divo dei divi. Ha trascinato il motociclismo nel futuro e sui media del pianeta. Da Tavullia alla Luna. Nel suo ultimo giorno lo omaggiano di un videosaluto i divi del cinema Tom Cruise (suo antico fan) e Keanu Reeves, mentre Brad Pitt e Johnny Depp lo andavano a trovare nei circuiti, e la volevano eccome la foto con lui, cheeese. Ronaldo il Fenomeno era lì ieri a Valencia, e pure Buffon ha mandato un messaggio, e anche Nadal, e Federer che gli dice «sei stato un mio punto di riferimento», e l’immenso Diego Maradona che non può più farlo, ma una volta gli baciò persino la mano. 
UN FENOMENO GLOBALECon quella faccia da fumetto, gli occhi da spiritello, il talento immenso, Valentino aveva proprio il fisico del ruolo, per diventare un fenomeno globale. Poi ci ha aggiunto il resto, una montagna di cose per condire i suoi trionfi, le gag in pista a motori ancora bollenti che rovesciavano la liturgia della gara, ruotavano il fatto sportivo in uno show che era subito planetario, e non c’erano neppure gli infernali social a moltiplicarne gli effetti. L’università di Urbino l’ha insignito di una laurea honoris causa in comunicazione, ben meritata. Poi lui è il Dottore, dopo essere stato Rossifumi (perché si era innamorato di un pilota giapponese, Norifumi Abe) e Valentinik. I mille vezzi, tutti una notizia, uno spunto, diventavano moda. La tartaruga Ninja, Michelangelo, sempre con lui; i disegni sul casco e gli adesivi sulla visiera, come quello della tribù dei Chihuahua, gli amici. E il 46 che fu di suo padre Graziano ma pure di uno sconosciuto giapponese che gli era piaciuto, così volle solo quel numero. E il giallo ispirato a Kevin Schwantz, suo idolo da bambino, come lo furono Mancini&Vialli della Sampdoria, che infatti fu la sua prima squadra, poi diventò l’Inter. E le parrucche, le gag dopo le vittorie, fin da quel giro d’onore con la bambola gonfiabile chiamata Claudia Skiffer (per sfottere Max Biaggi, accreditato di una tresca con Naomi Campbell); e il Robin Hood a Donington, l’inesistente Polleria Osvaldo, lui galeotto con palla al piede (Condannato a vincere), gli amici che si travestono da vigili urbani e lo multano per eccesso di velocità, la fuga nel bagno dei giudici di gara a bordo pista. Perché lo sport è come la vita, una festa da vivere insieme, e mascherarsi è accettarsi, quindi un modo per trovarsi. Tutti volevano essere quella maglia 46.