Antonio E. Piedimonte per “la Stampa”, 14 novembre 2021
COLPIRE A FONDO, ELIMINARE LA FAMIGLIA - LA CAMORRA CONTINUA A FARE STRAGE DEI PARENTI DEI BOSS - TRE GIORNI FA E' STATO UCCISO ANDREA MEROLLA, NIPOTE DEL RAS ANTONIO VOLPE - I CASI DI GIUSEPPE TIPALDI, DETTO "PEPPE 'A RECCHIA", FIGLIO DI UN VECCHIO BOSS DI MIANO E L'INCENSURATO CARMINE D'ONOFRIO, NIPOTE DEL PADRINO CHE AVEVA FONDATO IL CLAN DE LUCA-BOSSA, MASSACRATO MENTRE IN AUTO CON LA COMPAGNA INCINTA – LA LISTA DI “VITTIME COLLATERALI” DELLE GUERRE TRA CLAN È LUNGHISSIMA... -
La silenziosa strage dei parenti dei boss. Una lenta mattanza che colpisce figli, nipoti e altri familiari, a volte coinvolti negli affari criminali e altre volte invece no. Come l'incensurato Carmine D'Onofrio, massacrato un mese fa a Ponticelli mentre era in auto con la compagna incinta. Il 23enne era figlio di un noto boss dell'area orientale e nipote del padrino che aveva fondato lo storico clan De Luca-Bossa (sulle basi messe dal genitore, pretoriano di Raffaele Cutolo).
Le colpe dei padri e le colpe dei figli, questione delicata sin dai tempi biblici ma che in terra di camorra (e di altre mafie) rivela una sua dolorosa attualità. Nei quartieri della periferia orientale è ben viva la memoria di un agguato che colpì la famiglia Mignano: il nonno, il figlio, e il nipotino di 3 anni. Un commando fece fuoco a pochi passi da una scuola di San Giovanni a Teduccio e solo l'imperizia dei sicari salvò la vita del piccolo e del padre (ferito), mentre non ebbe scampo il capostipite.
A scatenare il raid - passato alla storia come l'omicidio dello zainetto (per una famosa foto) - fu la volontà di colpire un boss imparentato con i Mignano. Da una periferia all'altra, ma sempre nel segno delle vendette trasversali. Tre giorni fa a Fuorigrotta il trentenne Andrea Merolla, padre di una bimba di 6 anni, è stato abbattuto mentre rientrava a casa in scooter. Il giovane non aveva alcun ruolo criminale ma era il nipote di un ras e questo è bastato.
Nemmeno 24 ore dopo a cadere sotto i colpi dei sicari nel quartiere Miano è stato «Peppe 'a recchia», al secolo Giuseppe Tipaldi, figlio di un vecchio boss in difficoltà. In questo caso però non si è trattato di un messaggio alla famiglia, o almeno non solo, perché il giovane era già noto ed era stato scarcerato di recente. Di certo però è l'ennesima vittima della guerra apertasi con la caduta di uno dei grandi regni della periferia Nord, quello dei «Capitoni», i tristemente noti Lo Russo.
Dopo il crollo dell'ultimo bastione, infatti, l'area è stata divisa in due dalle faide: da una parte la coalizione «Abbasc Miano» (Miano di sotto), dall'altra le bande di «Ncopp Miano» (Miano di sopra). Eliminare eredi e i parenti per disarticolare e paralizzare le «famiglie», rocciosa spina dorsale dei grandi clan ed essenza vitale delle piccole cosche (sempre più numerose) che proprio sui legami parentali basano la loro forza.
Un tempo i codici della camorra lo impedivano, non si potevano ammazzare i familiari, ma le cose erano cambiate già ai tempi di Cutolo (nel 1990 gli uccisero il figlio Roberto), stessa sorte per «Lovgino», all'ex re di Forcella nel 2005 ammazzarono il fratello Nunzio e nel 2006 il figlio Giovanni. Più recente (2017) si ricorda il massacro del 21enne Nicola Notturno, figlio di uno dei capi degli Scissionisti, per restare tra i nomi di spicco.
Un elenco troppo lungo. Dalle stragi di consanguinei alla «pulizia etnica». Confermata a mezza voce dagli investigatori, la notizia circola da qualche giorno: sul «fronte» di Ponticelli, dopo anni di agguati, stese e bombe, la guerra si è fermata. Gli sconfitti hanno dovuto fare un passo indietro, diversi nuclei familiari hanno lasciato il quartiere e i vincitori hanno già «riassegnato» le loro case (si tratta di abitazioni del Comune).
Niente di nuovo: Ponticelli è stata per decenni il feudo del clan Sarno, il cui padrino (don Ciro) era chiamato «'o Sindaco» perché gli piaceva gestire gli alloggi pubblici. Una storia antica: famiglia, casa, camorra.